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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/16

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lxiii
     Voi, chiaro Lancilotto, che ripieno
Di valor e d’ardir più d’altro estimo,
Sappiate pur ch’anch’io mi tenni almeno
Secondo sempre, e ben sovente il primo,
Nè giamai di timor mi strinse freno,
E ponessemi il Cielo in alto o in imo:
Con Ettor, con Giron, con Febo il Bruno
Combattei spesso, e non cedeva a alcuno;
lxiv
     E col vostro re Ban, col re Boorte
Mi ritrovai più d’una volta in pruova:
Vinsi e perdei, come volea la sorte,
Che non sempre l’istessa si ritruova;
E se lor non venia subita morte
Io passava di qua con gente nuova
Per dar soccorso a quei, ma in mezzo il mare
Ebbi d’ambedue lor le nuove amare.
lxv
     Questo dich’io perchè sappiate il vero,
Ch’io v’amo e v’amerò qual proprio figlio,
E che vogliate credere al sincero
Mio, prego, ed amorevole consiglio:
Rendete obbedïenza al sommo impero
Del vostro Arturo, e pongasi in essiglio
Ogni altra cosa andata, che sovente
L’uom di tosto crucciar tardi si pente;
lxvi
     E ritornivi a mente come voi
Non sète in molte parti a lui simile:
Dio gli ha dato poder sovra di noi
Come al degno pastor sovra l’ovile,
E l’aver riverenza a i signor suoi
Nasce da nobil animo e gentile:
E quanto in voi risplende più il valore,
Tanto più onor vi fia rendergli onore.
lxvii
     E voi, famoso re, devreste porre
Ogni perturbazione omai da parte,
Legare i sensi e la ragione sciorre
E rivestire il cor di real arte:
La quale è dolcemente di riporre
Nel cammin dritto chi da lui si parte
E serbare il corruccio all’ultim’ora
Che veggia altrui d’ogni speranza fuora:
lxviii
     Chè troppo spaventevole è quell’ira
Ch’accenda chi può far ciò che gli aggrada.
Chi non guarda al principio, indarno tira
Il fren da poi che mal ritruova strada;
Rare volte cadrà chi fiso mira
Il cammin che dee far, nè ad altro bada,
E chi più tien nelle sue forze speme
Più truova intoppo che l’abbatte e preme.
lxix
     Non ha tanto fallito che non merte
Lancilotto da voi largo perdono:
Chè spesso prende l’uom per vere e certe
Le cose che incertissime poi sono;
Pensò che voi gradiste quelle offerte
Ch’ei fè de’ prigionieri, e ch’esso dono
Non vi devesse offendere: or che sente
Avvenirne il contrario, si ripente.
lxx
     Ricordatevi poi ch’un tal guerriero
Non si truova talor dopo molti anni,
E chi l’ha, no ’l dee perder di leggiero,
Ma ben servarlo a simiglianti affanni.
Egli ha molto giovato al vostro impero,
E molti a tutti noi schivati danni:
Egli, è pur sempre (e tutto il mondo sallo)
Stato del vostro campo argine e vallo.
lxxi
     Al buon vecchio reale il grande Arturo
Tal feo risposta, e molto meno irato:
Ben vegg’io quanto sia saggio e maturo
L’alto consiglio che da voi n’è dato,
Ottimo re dell’Orcadi, e vi giuro
Che la forza e l’onor m’han qui menato,
Ch’io l’ho mai sempre col medesmo amore
Che si deve un figliuol portato in core.
lxxii
     Ma con qual degnità soffrir poss’io
E gli oltraggi e gli scherni ch’e’ mi face?
Chi l’adorasse pur qual proprio Dio
A pena seco aver potrebbe pace;
Sempre sprezza e contrasta al parer mio,
E di maggior tenermi gli dispiace:
Di nessun più gli cale, ogni uomo sdegna
Quest’anima d’orgoglio e d’ira pregna.
lxxiii
     Qui Lancilotto, lui mirando torto,
Sdegnato più che mai così dicea:
Voi mi vedrete pria sotterra morto
Che seguirvi mai più com’io solea.
Per altro nuovo mare, in altro porto
Mi condurrà la mia fortuna rea,
E la ragion mi fa sperar ch’un giorno
Bramerete anco indarno il mio ritorno.
lxxiv
     Finite le parole, volse il piede
Verso il suo padiglion, poco lontano;
E Galealto pio ripien di fede
Il seguitava sol, tacito e piano.
Vòta lasciò di sè la real sede
Arturo, e seco ogni altro capitano;
Poi ripien di pensier, turbato e bruno
Al proprio albergo ritornò ciascuno.
lxxv
     Posesi Lancilotto lungo il rio,
Lontan da tutti i suoi, doglioso e solo;
E d’uccider Gaveno ora ha disio
E di dare al suo re perpetuo duolo,
Or dove il porterà suo destin rio
Di prender brama un disperato volo:
E mentre questo e quel danna ed appruova
Viviana innanzi a gli occhi si ritruova.
lxxvi
     Alla qual cominciò: Cara e gioconda
Più ch’essa madre ch’io non vidi mai,
Chi v’ha menato qui sopra quest’onda
A contemplar le mie vergogne e i guai
Ond’oggi sì gran numero m’abbonda
Che per mille oltra me sariano assai?
Or son gli onori, or son le palme queste
Che tante volte già mi prediceste: