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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/17

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lxxvii
     Ch’io devea sovr’ogni altro tanti pregi
Aver vivendo, e dopo morte poi
Uscirebber di me tanti alti regi
Adorati da i Galli e ’ vicin suoi
Ch’eterni serveriano i manti e i fregi
D’ogni real virtù sopra gli eroi,
Il famoso Francesco, il grande Enrico
Ch’avanzerebbe ogni valore antico?
lxxviii
     Ben contrario è il principio, se Gaveno
Ha pure avuto ardir d’oltraggio dirme:
Nè voll’io rintuzzar l’empio veleno,
Pensando contr’a tal troppo avvilirme.
Parlai col re, che mi pensava almeno
Che per ragion devesse favorirme;
E ’l trovai sì contrario e tanto ingrato
Che ’n meraviglia estrema son restato.
lxxix
     Così diceva, allor che sospirando
Fece la donna a lui risposta tale:
caro figliuol, così vi chiam’io quando
Sempre amor vi portai di madre eguale,
Io vi trovai d’ogni ventura in bando
Vicino al lago, il nido mio natale,
Con la misera madre, a cui vi tolsi
Nato d’un anno, e meco vi raccolsi;
lxxx
     Ove con somma e vera caritade
Vi nutrii fra gli studi e ’ buon costumi
Quai d’anno in anno richiedea l’etade,
Ma in dura vita e ne i selvaggi Dumi,
Inviandovi al Ciel per l’erte strade
E di gloria mostrando i veri lumi
Or con saggi ricordi, or con essempi
Di quei miglior de i più lodati tempi:
lxxxi
     Nè gran fatica fu; perchè le stelle,
Com’io ben conosceva, v’inchinaro
Alle imprese lodate, altere e belle,
A mostrarvi fra gli altri unico e chiaro;
Benchè alcune di lor contrarie e felle
Spesso qualche sventura minacciaro:
Che ’l corso di virtù non dura troppo
Che non trove in cammin più d’uno intoppo.
lxxxii
     Ma questo è quel ch’al gran valore aggrada,
Che senza affaticar non prezza onore.
Ora adunque, figliuol, per tale strada
Del terzo lustro vi condussi fuore:
Dièvi la lancia allor, cinsi la spada
- ben servate del Ciel le felici ore -,
Posi sopra il destrier, menàvi in corte
D’Arturo a seguitar la vostra sorte:
lxxxiii
     Di cui doler non vi devreste certo,
Cominciando a guardar con occhio sano
Pria Melianso, da ciascun deserto,
Quando voi sol con giovinetta mano
Ardiste di sferrarlo, e dire aperto
A qualunque uom che fosse ivi o lontano,
Ch’amar dicesse gli inimici suoi,
Che voi l’uccidereste, od esso voi:
lxxxiv
     Per cui ve ne seguir battaglie tante,
E di tutte la palma riportaste.
Indi soletto e cavaliero errante
La dolorosa guardia conquistaste:
Per la qual mille volte e mille avante
Furo in van da i miglior rotte mille aste;
Ciò fu vostra virtù, ma la fortuna
Pur guidata da Dio con lei s’aduna.
lxxxv
     L’uno e l’altro gigante a Camelotto,
Che facea la Brettagna mal sicura,
Fu nell’estremo fin per voi condotto,
E disciolto il terren d’aspra paura;
Poi liberaste Arturo, ch’era sotto
Chiavi serrato e fra incantate mura
Di Camilla spietata ed impudica,
Con gran vostro periglio e più fatica.
lxxxvi
     Molte poi gravi imprese in sì pochi anni
Al fin traeste, ch’io devrei contare:
Però che ’l rimembrar’ gli andati affanni
Suole il presente duol men duro fare,
Tanto più quanto son d’onte e di danni
Nudi, e vestiti di vittorie chiare;
Ma questo basti assai per farvi accorto
Che ’l troppo lamentar sarebbe torto.
lxxxvii
     Prendete dolcemente adunque in grado
Il presente dispregio che vi viene,
Chè mal si può d’onor trovare il guado
Senza spesso trovar chi il piè ritiene.
L’assenzio in terra è molto, il mèle è rado,
Corto sempre il gioir, lunghe le pene;
Ma i buon contro a fortuna innalzin l’alma
Come contro all’incarco invitta palma.
lxxxviii
     Così disse Viviana, ed ei risponde:
Non m’affligge il pensier, madre pietosa,
Percossa o forza delle mortali onde
Nè tempesta che surga atra e noiosa:
Ma il veder sol che quella parte, d’onde
Sperava ogni mio ben, mi venga odïosa,
E quel ch’io servi’ già con tanto zelo
Mi spinga al centro, com’io l’alzo al cielo.
lxxxix
     Ma tal prenderò volo, e sì lontano,
Che ’l nome ingrato non m’offenda il core,
Ove in Dio porto speme, e ’n questa mano,
Di poterne ritrar più largo onore,
Come trasposta in un terreno strano
Suol la pianta portar frutto migliore:
E perchè non si può destare in noi
L’indomita virtù de i primi eroi?
xc
     Il cangiar di paese mi porria,
Come di molti s’è parlato e scritto,
Cangiar in buona la fortuna ria
E ’n lieto ritornar lo stato afflitto:
Non è oggi per me chiusa la via
De’ neri Garamanti e dell’Egitto
O de’ luoghi più là verso l’aurora
Più ch’a Bacco ed Alcide fosse allora.