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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/168

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xc
     Per sè medesmo elegge, ove la porta
Del ben serrato campo in mezzo assiede,
Perch’il loco più forte e che più importa,
E cui guardi a maggiore intorno vede;
E d’aver seco poi fidata scorta
Il Fortunato solo e Grifon chiede,
Che menavavi le genti uscite fuore
Dell’inculta Pannonia Inferiore.
xci
     In primo loco poi da destra mano
Al forte Palamede in guerra assegna;
Ch’oltre a gli Ebridi suoi vuol Dinadano
Che tra ’l freddo Visero e l’Albi regna,
Bronadasso il Svevo e ’l suo germano,
Safar, che di Castiglia avea l’insegna,
E ’l giovin Gallinante, che di Mona
Con agurio infelice avea corona:
xcii
     Il sito a lui più presso avea Brunoro,
Col provenzal Margondo e Gracedono;
Dal manco lato il primo è Palamoro,
L’Aquitan valoroso; e con lui sono
Calarto ed Esclabor, che duci foro,
Ove il Duero e ’l Tago altero dono
Fan di loro all’oceano e poi ’l seguia
Merangio dell’alpestre Andalosia.
xciii
     Verralto il Biscain gli pone appresso,
Ove l’Euro vicin più spande l’acque;
Morassalto e Drumen vanno con esso;
Questi sul Beti e quei trall’ombre nacque
Della frondosa Ercinia e gli ha concesso
Estero Iranio, ch’al suo Febo piacque
Tal che sempre tornò di pregio carco,
Ove in prova venian gli strali e l’arco.
xciv
     Ilba, il primo duttor dell’Ostrogoto,
Col crudel re de gli Eruli Odoacro,
Cui seguia d’Aragona il nobil Loto,
E ’l Catalan Roderco a’ vicini acro,
Sopra il gran colle, che riguarda a Noto,
Che tra i neri Etiopi ha il tempio sacro,
Con gravissime strida al lato manco
Il Britannico campo assale al fianco.
xcv
     Gunebaldo il Borgondo e Matanasso
Quel che i più feri Allobrogi conduce,
A diverso cammin muovono il passo,
Verso ove Apollo asconde la sua luce,
Ove alza il monte sì che scopre in basso
Quanto il nemico esercito e ’l suo duce
Puote oprare, o pensar per sue difese,
Ben securo da lor di tutte offese.
xcvi
     Va Rossano il Selvaggio all’altro calle,
Che si volge ove Borea il cielo offende,
Al colle pur, che dell’acquosa valle
Riserrando il sentiero, oltra si stende;
E perchè l’improviso e dalle spalle
Con più grave timor gli animi prende,
Per ascoso sentiero e quetamente
Quanto è possibil più mena la gente.
xcvii
     Seco ha Galindo e l’alto Bustarino,
Tolosan quegli e questi aspro Baviero;
Dan poi l’ordine estremo, che Clodino,
Con Terrigano il grande ed Agrogero,
Duce il primiero al duro Limosino,
L’altro al chiaro Nemauso e Mompoliero,
Sien senza guerreggiar per dare aita
A chi fosse al ben far la via impedita.
xcviii
     Non queta il buon Tristan dall’altra parte,
Mentre intorno i nemici accinger vede;
Ma con dovuta industria, ardire ed arte,
Ove il bisogno appar, tosto provvede;
Poi col re Lago e gli altri va in disparte,
E ’l consiglio di loro umil richiede,
Per dipartire i duci e l’altra gente,
Ove possa più star sicuramente.
xcix
     E ’ncominciò: Signor, biasmo non merta
Qual sia sommo guerriero o imperadore,
Che scorgendo a’ suoi danni a fronte aperta
Spiegar l’empia fortuna ogni furore,
Il pristino ardimento riconverta
In saggio dubbio e ’n nobile timore,
Non dell’armi nemiche ma di lei,
Che spesso, più che i buoni, aiuta i rei:
c
     E nel popolo spesso in un momento,
Senza rimedio uman cangia il pensiero;
Chè l’antico valore in questo ha spento,
E quel fugace e vile ha fatto altero;
Che ’l medesmo ch’ha in mare e ch’ha nel vento,
Sopra il mortal volere ha largo impero;
Dico del vulgo pur, non di chi chiude
Invitta nel suo cor, qual voi, virtude.
ci
     Però scusati semo in questo giorno,
Se feriti i miglior de i duci nostri,
E spogliato il desir d’onore adorno
Già scorgete ne’ miei, com’io ne’ vostri,
Sol per necessità duro ritorno
Facciam, raccolti tra vallati chiostri;
E s’a difender quei drizziam le voglie,
Più tosto ch’all’uscir delle sue soglie.
cii
     Certo è che se di me sol questa vita,
Nello stato ove siam, fosse in periglio,
Pria che cercar di questi fossi aita,
Sarebbe ella di me posta in essiglio;
Ma per sì chiara gente e sì gradita
Convien sempre prepor l’util consiglio,
Che non manchi d’onore a quel che sia
Con certissimo duol per alta via.
ciii
     Or s’a voi così par, padri e fratelli,
Direi che i nostri duci e cavalieri,
Che molti pur ancor restan di quelli
Che non feriti il ciel ne lassa interi,
Gisser da parte e che ciascuno appelli
Quei ch’ei pensa tra’ suoi miglior guerrieri,
E che per pruova omai conosce tali,
Che i ben possa lodar, punire i mali;