Vai al contenuto

Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/225

Da Wikisource.

lxxxviii
     E perch’io veggio voi giovin novello
Co’ più saggi e miglior mettervi in prova;
Vi dirò che lo sprone e che ’l flagello
Adoprar con furor niente giova,
E ’l passar nel principio questo e quello
Al fin gloria dannosa si ritrova;
Che a mezzo il corso poi sì frale e stanco
E ’l misero caval ch’ei ne vien manco.
lxxxix
     Non con la forza sola a terra stende
L’arbor, ma più con l’arte, l’architetto;
Nè spesso traviando il cammin prende
Il discreto nocchier, ma dritto e stretto;
Più securo il suo gir mai sempre rende
Quel che d’ogni periglio aggia sospetto;
Tardo sia il cominciar di chi desia
Poter salvo compir la lunga via.
xc
     Il primiero spronar sia dolce e piano,
Che non faccia al destrier timore o sdegno;
Sia il corso dritto e miri di lontano
A cui debbe arrivar l’eletto segno;
Stringasi sempre alla sinistra mano,
Con ragion vera e debito ritegno
Di non urtar la meta o gir sì lunge,
Ch’entri fra quella e voi chi dietro punge.
xci
     Ma poi ch’essa varcando al lato manco
Per tornar qui fra noi sete rivolto,
Allor potete all’uno e l’altro fianco
Porre in opra lo spron, di tema sciolto,
Che ’l corrente caval divegna stanco;
Che ’l sentier, ch’ei dee far, non è poi molto,
E ’n breve spazio al trapassarvi poi
Non basterebbe Achille e i destrier suoi.
xcii
     Così detto s’assise e già in brev’ora
I cinque cavalier sono in arcione;
E Lancilotto di ciascuno allora
Dentro un elmo serrato i nomi pone,
Poi gli trae ben mischiando e ’l primier fuora
Venne il giovine Eretto, ch’a ragione
S’empiè di gioia, ch’al sinistro lato,
Che vien più in ver la meta fu locato.
xciii
     Il secondo è Gaven, poi Persevallo,
Nestore il quarto e l’ultimo Clotaro,
Ch’è di ciò lieto, perchè il suo cavallo
Tien sovra quanti fur nel mondo chiaro,
Dicendo fra suo cor: Se maggior fallo
Non fa, ch’ei soglia, è mio quel pregio caro,
E se ciò avvien, di appenderlo divoto
Al tempio parigin fò certo voto.
xciv
     Lì secondo la sorte in breve riga
Il proprio Lancilotto gli dispose,
Dicendo: Or sia ciascuno ottimo auriga,
Sì come ottimo è sempre in maggior cose.
Poi questo e quel del popolo gastiga,
Che ’n mezzo al lor viaggio s’interpose;
Indi col terzo suon, ch’al ciel rimbomba,
Ch’omai sproni chi vuol grida la tromba.
xcv
     Mosser tutti in un punto, come insieme
Fosser legati o fosse un corpo solo;
Ogni uom distende il freno e ’l fianco preme
Al veloce caval, che fugga a volo;
Surge la polve in alto, il terren freme,
E ’ntorno applaude il riguardante stuolo;
Van molti passi in un congiunti al paro,
In fin che volse il franco re Clotaro:
xcvi
     Il cui Tracio corsier dal vento sembra,
Ch’a tutti gli altri innanzi sia portato;
Non par che adopre le correnti membra,
Ma qual’aquila in ciel si mostre alato;
Il valoroso Eretto a cui rimembra
Del paterno ammonire, il manco lato
Si va intero servando e con le grida
Più ch’oprando lo sprone, il caval guida.
xcvii
     Il nobil Persevallo che si vede
Vie più che di destrier fornito d’arte,
Tanto col fren sollecita e col piede,
Che ’l primo vien dalla sinistra parte;
Poi mentre alquanto di prestezza cede,
Al più stretto cammin la via comparte,
Lieto che questo e quel nagando giva
Perdendo tempo assai per altra riva.
xcviii
     Ma il giovinetto Franco in cui la speme
Già di certa vittoria si nutrìa,
Ritrova un fosso in fra le trite arene
Sepolto sì che fuor non apparia,
Ponvi il Tracio ambe i piedi e gli conviene
Batter la fronte su l’ascosa via,
Pur senza danno alcun del suo signore
Di periglio e d’affanno il trasse fuore.
xcix
     Ma il buon Nestor di Gave che lui segue,
Quanto fu indietro pria d’avanti acquista;
Nè lo spron nè la sferza han paci o tregue,
Che l’una e l’altra vien disgiunta e mista;
Ma il risurto corsier par si dilegue
Qual nebbia al vento, e subito racquista
Il perduto vantaggio pria che vegna
Ove indietro tornar la meta insegna.
c
     Nè più il mosse il valor che la vergogna,
Che sentia lamentarse il giovinetto,
E che spargendo lagrime il rampogna,
Dicendogli: Or sei tu quel Tracio detto
Al mondo senza par, ch’ogni uomo agogna,
E ch’oggi pur da me sei stato eletto
Tra mille ch’io n’avea, come il migliore,
Per farmi in cotal loco un tal disnore?
ci
     Passa oltra adunque e nullo omai contende,
Mentre a lui ben vicino era Gaveno,
A cui venendo al pari il corso stende
Eretto, ch’ha fermato entro al suo seno
D’altro dì non veder, che quel che splende,
O del pregio secondo ornarse almeno;
E perchè è già vicin molto alla meta,
Il sollecito andar non gli si vieta.