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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/26

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lxxxi
     Quei di Cantio e di Roffa con lui mena,
D’Essesia e Midelsesia, dove è assisa
La ricchissima Londra e bella, piena
De’ ben della fortuna in ogni guisa,
Della Tamigia in su la riva amena
Che dal cor di Ciprigna mai divisa
Non fu, poi che le lassa in dolci tempre
I suoi candidi cigni a pascer sempre:
lxxxii
     E gli mantien securi da gli assalti
Del britannico mar, che la rispinge
Verso il suo fonte a perigliosi salti
Quanto in due dì va l’uom che non s’infinge;
E quei della Sussesia, che men alti
Da’ liti son che l’ocean dipinge,
Con gli altri di Surrea pur seguon l’orme
Del re ch’io dissi, ch’a vertù gli informe.
lxxxiii
     Il saggio Maligante, che fu figlio
Del vecchio Bandigamo, il re di Gorre,
Famosissimo in arme, ma in consiglio
Tal ch’a quanti vi fur si dee preporre,
Con parlar dolce e con allegro ciglio
Reggeva quei del lito che discorre
Vintonia e Vetta, l’isola che siede
Su ’l mar che Neustria a mezzo giorno fiede;
lxxxiv
     Altresì di Cicestra e Bercherìa,
Là verso il monte onde Tamigia parte,
Ogni prode guerriero esso seguìa,
Con sette sue bandiere all’aria sparte.
Poi di Dorcestria e Sarisburia,
Su ’l lito pur della medesma parte,
Menar Gerfietto, Ostorio e Prasutago,
Con quattro sole insegne, il popol vago.
lxxxv
     Indi vien Gossemante, il core ardito,
Con quei di Sommerseto e di Devona,
Che poste son tra l’uno e l’altro lito
Ove il mar di Boote e d’Austro suona;
E d’altrettanta gente era fornito
Che tutti tre quei primi, e non men buona;
Creuso il Senescial veniva poi,
Che ’l terzo più di lui menò de’ suoi:
lxxxvi
     Ch’eran della Cornubia, ove più sporge
Al sito occidental verso la Spagna,
E dove più vicina e dritta scorge
Di qua dal mar l’armorica Brettagna.
Ma quei della Sutvallia, che più sorge
Dritto al settentrïon che ’l mar non bagna,
Ove il Pembruco popolo a Milforte
Non pensò mai trovar di sè più forte:
lxxxvii
     Ebbero in duce loro il forte Ivano,
Che ’n fra quattro stendardi gli divide.
Poi Meliasso, che in beltà sovrano
A ciascun altro fu che mai si vide,
Fuor ch’al figlio onorato del re Bano
Ch’ebbe in tutto le stelle amiche e fide:
Nacque costui d’Aglaie e di Caropo,
Nè mai simile a lui fu innanzi o dopo;
lxxxviii
     Ma perchè la beltà fu in basso stato
E l’età giovinetta anco il premea,
Fu d’una sola insegna accompagnato,
Che di Stromorra e di Norvallia avea.
Mandrino il saggio, che ’l seguia da lato,
Menava quei dell’isola Anglisea
Con gli altri di Bangaria, ed ha la terza
Bandiera sopra lor ch’al vento scherza.
lxxxix
     Taurin, che di Merlino era figliuolo
E dell’arte paterna dotto a pieno
De gli uccei osservando il gusto e ’l volo
Prediceva le piogge e ’l ciel sereno;
Quante stelle sostien questo e quel polo
E qual propria virtù chiuggano in seno
Conoscea in tutto, e ’l corso de’ pianeti,
E quai fossero a noi dogliosi o lieti:
xc
     Egli in somma vedea così ’l futuro
Com’ogni altro il passato o quel c’ha innante;
Due frati ha seco, a cui non giace oscuro
D’erbe valor, di fiori o d’altre piante,
Nè di morte poteo l’artiglio impuro
Sopra alcun mai ch’a lor venisse avante,
Con l’onde chiare o con radici sole
Risaldando ogni piaga, o con parole:
xci
     L’uno era Pellican, l’altro Serbino,
E tutti tre sei insegne aveano insieme,
Di Landaffa e d’Erfordia, che ’l confino
Tra l’Uvallia e Cornubia adentro preme,
Con quei che ’l fiume Logo han per vicino
E l’ondosa Sabrina, ov’ella geme
Scendendo al mar che in occidente guarda
E col torbo reflusso la ritarda.
xcii
     Gli altri intra quella e ’l corso dell’Avone,
Di Glicestra, Stafordia e di Vigorna,
Sotto il quarto onorato gonfalone
Mandoro han primo che la schiera adorna,
Perch’ha di ben condurla ogni ragione
Quando innanzi s’addrizza o indietro torna;
Pure elesser Costante e Vertigero
Che gli fosser compagni a tale impero.
xciii
     Mena in guerra Urïan quei di Licestra
E quei di Derbia, ove bagnando il Trenta
Questa lassa a sinistra e quella a destra,
Non lunge al monte onde ruscel diventa
E per la pioggia sterile e silvestra
Per sassoso cammin ratto s’avventa;
Cinque insegne ha spiegate, e ’n compagnia
Condevallo e Conon seco venia.
xciv
     Quanto ha Lancastro e quanto intorno gira
Doppo il fiume Ribel, vicino al mare
Che ’n ver l’occaso e nell’Ibernia mira,
Col buon Landone il destro volle andare;
Cumbria a Carlela, che più dell’Orse tira,
Là dove il Chevïata in alto appare
E dove all’ocean passa Solveo,
Brun senza gioia per suo duce aveo.