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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/27

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     Portan sei insegne i due, ma Telamoro
Conduce quei che son lungo il Tueda
Tra Landonia e la Marcia, che ’n fra loro
Veggion Fortea del mar famosa preda,
Con quei di Fiffa, ove in sì bel lavoro
Ha tempio il divo Andrea, ch’a nullo ceda,
Con gli altri d’Edimborgo e di Bombaro;
E tre insegne fra tutti alte spiegaro.
xcvi
     Quei d’Atolia Alibello han per suo duce,
Co i compagni che son tra ’l Tavo, e l’Erna
E di Marnia e d’Angusta, che conduce
La fronte innanzi che più l’onde scerna;
Due insegne porta sole: e quel che luce
Di ricchezza ch’avanzi ogni moderna,
Dico Arganoro, mena quei ch’avea
Tra le sue foci in mezzo Dona e Dea.
xcvii
     Sei mena insegne; e ’l buon Malchino il grosso
Quei di Moravia e di Canoria ha seco,
Là dove è il Porto di Salute, scosso
D’ogni scoglio che sia sopr’acqua o cieco,
Ove non fu mai d’ancora rimosso
Legno per vento nubiloso e bieco:
Lì di Nessa e di Nardo l’acqua beve,
E di Lindorna poi tranquilla e leve.
xcviii
     Quattro insegne ha di lor; Finasso il bianco
Ha quei di Catanesia e di Storlanda
E di Travernia, che si scorge al fianco
L’Orcadi, ove più l’ali Borea spanda:
Ivi l’esca domestica vien manco,
Ma sol fere selvagge in luce manda,
Onde a fornir la mensa fa mestiero
Che sia ’l popol più d’altro ardito e fero,
xcix
     Com’ei son senza par, che quasi ignudi
Al più gelato ciel menan la vita:
Prendono i cibi sanguinosi e crudi,
La terra è il letto ch’a posar gli invita;
Nullo è ch’a Bacco s’affatichi o sudi,
Che la più semplice acqua è più gradita.
Di questi adunque son quattro bandiere,
E di dardo ciascuno e d’arco fere.
c
     Bandegamo, il fratel di Maligante
Che del padre onorato il nome porta,
Famoso duce e cavaliero errante,
Al popol di Rossia fu fida scorta
Ed a quel della Lotia, c’ha davante
L’Ebridi, verso il sito che conforta
I fiori e l’erbe a trar la fronte fuora
Là ver l’april con la sua tepid’ora:
ci
     Ivi tra boschi stan, paludi e laghi
Che Nessa e Nardo con Lindorna fanno,
Ma di pesci e di caccie assai più vaghi
Che di dare al terren d’aratro affanno,
Cui nullo è che sementi o che l’impiaghi;
Ch’al culto natural contenti stanno;
Quattro insegne ha spiegate di costoro,
C’han pelli intorno di selvaggio toro.
cii
     Quei di Loquabria, che ’l medesmo Nessa
Van seguitando pur nel Grampio Monte,
Ove la selva surge assai più spessa
E son le fere più mordaci e pronte,
Han la cura di lor larga rimessa
In Bralleno, il guerrier d’altere e conte
Virtù ripieno, e quattro insegne spiega
All’aura in alto, ch’or le drizza or piega.
ciii
     Amillan quei d’Argadia appresso mena,
Ove più verso Ibernia esce il Novanto,
L’antico promontorio a cui l’arena
Bagna il padre Ocean dal terzo canto:
Tre insegne ha sole; e quel ch’al mondo ha piena
Gloria sovra tutti altri e porta il vanto
D’essere in correr lancia ardito e dotto,
Fuor solamente il chiaro Lancilotto,
civ
     Io dico di Norgalle il Cavaliero,
Che mena quei di Glasco e di Dumblano
Pur lungo il Grampio, ov’ei circonda altero
Lomundo, il lago che gli assiede al piano
E di molte isolette tien l’impero
Colme di genti che non stanno in vano,
Ma con quattro bandiere il forte duce
Seguono ove a gran gloria gli conduce.
cv
     Taulasso vien dapoi della Montagna
Con quei di Gallovidia, c’han la sede
Sopra il mar detto Rin ch’a torno bagna
Il promontorio Mule che si vede
Solveo vicin che nell’oceano stagna:
Poi cacciato da quello indietro riede
Presso all’isola Mona; e questa gente
Han sopra lor tre insegne solamente.
cvi
     Il buon re Lago poi, che d’anni grave
L’unico suo figliuolo ha seco Eretto,
Conduce quei dell’Orcadi, d’ond’ave
Lo scettro in man d’imperadore eletto:
Dell’Orcadi, ove il sol, se ’l verno aggrave,
In tai brevissim’ore ha il dì ristretto
Ch’a pena visto si ripon tra l’onde,
Poscia all’estivo ciel poco s’asconde.
cvii
     Stanno a guisa di cerchio aggiunte insieme,
Pur d’assai poco mar fra lor distinte,
Ove più l’Aquilone intorno geme
Al sen Deucalïon, che l’ha ricinte;
Pomonia è la maggior, che ’l mezzo preme
Delle trent’una che di gloria ha vinte,
Benchè famosa è pur Bure e Renolse,
Che ’n ver la Catanesia più s’accolse.
cviii
     Era il medesmo poi signor di Tile,
Ove più varia il dì, perchè non pare
Giamai tal volta, e poi cangiando stile
Molti corsi di luna aperto appare;
Regge anco l’Irta, cui nulla è simile
Di grandezza fra lor, ch’è senza pare,
Ma più ver l’occidente s’allontana,
Ove ancora è dell’Ebridi sovrana.