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Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/64

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xcv
     Poi che s’è accorto l’amoroso Ispano
Del prezïoso e caro suo cimiero,
E che in mezzo alla polve era lontano
L’almo splendor del suo terreno Ibero;
Qual tigre acerba lungo il lito Ircano
Priva de’ figli suoi, divenne fero:
Spronò verso Boorte il suo cavallo
Gridando in alto suono: O crudo Gallo,
xcvi
     Già non ti vanterai d’offeso avere
Il più onorato crin che fosse mai,
Che la luce vincea dell’altre spere
E dello istesso sol gli ardenti rai:
Il quale alla sua donna mantenere
E ’ntero riportar certo giurai;
E ’l farò veramente o ch’oggi il cielo
Sciorrà il mio spirto dal terrestre velo.
xcvii
     E dicendo così, fere alla testa
Pendente alquanto dal sinistro lato,
Ch’orribil suon dentro all’orecchie desta
Del pio Boorte, ma non l’ha impiagato:
Poi di nuovo il percuote, e non s’arresta
In fin che ’l terzo colpo è raddoppiato,
Su ’l braccio questo, e quel sopra la spalla;
Pur di fargli assai danno in tutto falla.
xcviii
     Ma l’invitto guerrier, da poi che vede
Chi fuor del creder suo troppo l’offende,
Qual sopra lepre timida che siede
Nell’erboso suo nido aquila scende,
A lui s’avventa, e dispietato il fiede
Col ferro micidial, che sotto il prende
Ove il ventre allo stomaco s’aggiunge,
E quando ivi trovò trapassa e punge.
xcix
     L’infelici armi allor del regio sangue
Fur di fuori oscurate e dentro piene,
E ’l giovin miserel pallido esangue
Sopra il forte corsier non si sostiene:
E mentre così ancor morendo langue
Della sposa fedel si risovviene,
E col vigor che in quello stato puote
Si rivolge a Boorte in queste note:
c
     Alto signor, che così amico il cielo
Al gran vostro valore e largo aveste;
Se mai vi svegliò al cor pietoso zelo
Pregar divoto di persone meste,
O se mai vi scaldar sotto un bel velo
D’onorata consorte fiamme oneste,
Consolate, al posar di questa salma,
D’una promessa almen la misera alma:
ci
     E questa fia, di far di terra accòrre
Le bionde chiome ch’io nel mondo adoro,
E meco insieme in chiuso albergo porre
Coperto, com’io son, dell’arme d’oro;
E ’l tutto appresso nelle mani esporre
Di Morassalto, al corno di Brunoro,
Che mi deggia mandare alla mia dea
Sì come al dipartir promesso avea.
cii
     Il pio Boorte, che in più amaro pianto
Che l’altro non diceva, intento ascolta,
Risponde: Or potess’io con nuovo incanto
Render così la vita ch’io v’ho tolta
E felice tornarvi e lieto, quanto
Già mai d’esser bramaste alcuna volta;
Sì come adempierò vostro desio,
E di ciò testimon n’appello Dio.
ciii
     Ringraziò ’l con la vista e col sembiante,
Che la parola scior più non poteo:
Così condusse il già felice amante
In estrema sventura il destin reo.
La bionda chioma, ch’a’ suoi piedi innante
Negletta si giacea, riprender feo
Boorte, poi condur col cavaliero
Dentro al suo padiglione, e ’l suo destriero.