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Un martire della verità 171


l’avesse provocato ad emulazione la guardia Peralti. Volendo a un tempo risparmiar disordini al suo povero cuore e persuadere che lo moveva il più disinteressato amore della verità, sopprimeva sè stesso nei racconti ove avrebbe potuto o dovuto figurare quale prima parte; compieva il sacrificio di sostituirvi «un mio amico», «un tale di mia conoscenza» .

Così faceva narrando del tempo che, come tutti sapevano, era stato soldato in Austria per servizio obbligatorio, negli ulani.

Certa nave trasportava una volta un reggimento di ulani giù per quel fiume cui dicono Danubio e che supera il Po, l’Adige e dieci altri fiumi dei nostri insieme.

Quand’ecco nella vecchia carcassa tedesca l’acqua cominciò a penetrare da molte bande. Mano alle pompe, agli stracci, al catrame, alla stoppa per turare i buchi. Presto! Si corre, si grida, si suda. Invano. Ha una forza, una spinta che non s’immagina, l’acqua del Danubio! E se seguitava a introdursi a fiotti, non c’era da dubitare che si andrebbe a fondo, col rischio di finire in bocca a una balena; a una balena del Danubio.

Ma allora a un soldato, un ulano «di mia conoscenza», venne una buona idea. Nell’alzar gli occhi al cielo per raccomandarsi l’anima, vide che dal cielo della stiva pendevano dei lardoni.

— I lardoni! — feci io. — Mettiamo dei