Pagina:Albertazzi - Top, 1922.djvu/41

Da Wikisource.
Le penne del pavone 39


E prova e riprova, finalmente la macchina sembrò in ordine.

Mentre avanzavano per il sentiero tra le macchie il piccolo si accorse che il giorno mutava luce.

— Vien tempo da piovere.

— Lascia! In caso che piova andiamo a ricovero nella capanna del vignarolo» lassù. Io non ho paura di niente.

***

Ecco. Sfogliata la cima a un’acacia, posato l’archetto fra una rama e l’altra, non c’era più che da attendere con pazienza, zitti e queti. Passeri ne giungevano, d’intorno, ma parevano avvisarsi a vicenda dell’insidia: buferle, nessuna. E Aldo non poteva star fermo e tacere. Deluso, cominciò a insistere per tornar a casa.

— Non senti che tuona?

Il temporale rombava da lungi e già ne pesava, nell’afa bassa, la minaccia. Quando uno strano grido, come d’una voce troppo alta emessa da una gola troppo stretta, come d’un richiamo doloroso e selvaggio, sorse lì, da loro.

— Un pavone!

— Un pavone di quelli del Palazzaccio. Cercherà la pavona e i pavoncini, per ammazzarli — disse Mario.

E lo videro. Nonostante l’impedimento della coda oltrepassava svelto fra tronchi e sterpi. Ad-