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322 i libri della famiglia

vinta con arme e soggiogata a sé la terra di que’ cittadini, vendé molti vendicandosi delle villane parole aveano combattendo dettoli. E domandatolo: «O orciolaio, (fu el padre d’Agatocle, come sai, maestro di vasi: si chiamavano figuli), onde satisfara’ tu a que’ tuoi soldati?», rispuose: «vintovi». E così adunque vendendoli disse: «Se voi non sarete per l’avenire modesti, io v’acuserò a’ vostri padroni». Isocrate, scrivendo a Demonico, affermava doversi né all’amico ceder di benivolenza, né al nemico d’odio. E così molti potrei addurre, quali pongono el vendicarsi fra le prime lode d’uno animo virile e grande, e aggiungono che una famiglia mai sarà molto pregiata, s’ella vendicandosi dalle iniurie non saprà farsi temere.

Adovardo. Se costoro non superbi e troppo subiti ben discernessero che cosa sia inimicizia, e quanto apresso de’ buoni sia licito perseguir vendetta, conoscerebbono, credo, la inimicizia in prima essere cosa grave e da molto fuggirla. Diceano gli antiqui quella affezione amatoria chiamata amore essere tale, che chi lo voglia in sé lo pigli, ma non chi vuole el lascia. Così qui certo potremo dire la inimicizia facile si cominci, ma non senza grande difficultà e danno si finisce. Diffiniscono la inimicizia essere odio indurato e grave. L’odio forse diremo nasca da invidia, qual vizio, detto che gli pesi veder bene a chi poco gli par lo meriti, comune sorge per nostra ambizione e per nostro essere poco modesti; dove pur soprafaccendo a quello ci s’apartiene, e presentandoci altieri, e pertanto ingrati a chi ci mira, vogliamo in vista soprastare a chi poi doppo l’invidia in sé verso di noi prende grave odio. Così quasi concludeno per nostro difetto venire in inimicizia. Ma io pur veggo e’ buoni essere odiati non raro. A Socrate, uomo ottimo e santissimo, fu inimico Aristofon poeta, el quale scrisse in lui sua commedia. Platone filosofo e Senofonte oratore, Eschines amico di Socrate e Aristippo molto insieme si inimicorono. Catone, ottimo cittadino e religiosissimo custode della Repubblica, fu da’ suoi inimici non meno che in cinquanta iudiici capitali accusato: del quale si legge