Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. III, 1973 – BEIC 1724974.djvu/216

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rimasi dolendomi, e dove fu luogo, piangendo appresso della mia carissima madre, la quale per mostrarsi molto astuta e a’ miei amori quanto era desta e operosa, subito mi confermò di tutto essersi avveduta, e maravigliarsi molto, mostrando meco prendere ad ingiuria que’ tutti detti e motteggi, co’ quali il mio signore, più per piacere a me che per sollazzare altrui, ivi a tutte sé avea porto grato e festivo. Stimai io questo ad ingiuria troppo grandissima, e in me ne presi odio occulto e maraviglioso sdegno, disponendomi al tutto nulla mai più voler amare, accusando me stessi che tanto fussi stata ad altri affettissima. E così me cominciai rinchiudere in solitudine con proposito di più mai mirare fronte a uomo. Erami in fastidio amore, in odio chi amava, e tedioso chi com’io non fussi addolorata e trista. Eh Iddio, sciocche noi amanti, sciocche femmine! E che non fec’io per durare in questo proposito? Diedimi a consumare ciascuno dì più e più ore appresso i sacerdoti, adorando e soprastando ne’ tempi, rinovando ogni ora più voti a ciascun santo, che mi tollesse dell’animo quell’uno per cui io e dormendo e vegghiando sempre me stessi sollecitava. E per non ragionar co’ vivi, dura e ostinata, mi bisbigliava con le dipinture. E volli dove fussi amore, ivi imporre a me religione, quasi come mi fussi licito superchiare e vincere quello che me avea già e tenea vinta e sommessa. Amore, figliuole mie, amore mi vietava sentire o ben servare alcuna durezza di religione. Così premuta da una molestia, aggiunsi sopra la seconda, credendo con quella levarmi la prima. Nondimeno in me amava, anzi ardea amando, e pure molto desiderava deponere lo ’ncarco amoroso. Né però volea perdere l’assiduo servire di chi mi piacea spesso rivederlo, ma tacevami e simulava o nulla dolere o essere a’ miei dolori altra cagione. Fuggia in solitudine, richiudevami in oscuro e tenebroso, piangea e me stessi tormentava. All’ultimo, combattuta e da mie leggerezze vinta, usciva, e desiderava il mio signore sempre non altrove essere che in quelli usati luoghi ov’io solea con tanto contentamento mai saziarmi di molto riguardarlo. E quando io certo sapea ivi lui fussi, poco il degnava, e godeva, per darli pena, s’avedessi io il fuggiva, ove poi per veder pur lui io più volte e in più luoghi andava e ritornava. E se scontrandolo