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e miseria. Ed emmi teco intervenuto qual suole chi appresso il fabro ben dubitava quel ferro fussi inceso, ma per più certificarsi il prese e molto si cosse la mano. Così a me: ove io pure stimava in te essere qualche non piccola molestia e ardentissima cura d’animo, ora io la sento in questa tua risposta tale ch’ella troppo mi cuoce, e quanto ella sia maggiore, tanto più a te desidero levarla. Non è solo utile, ma più virtù levarsi dall’animo le cose moleste; e dove il dolore superchi le nostre forze, se gli vuol cedere, poichè così solo il dolore si vince fuggendo. E tu stima quanto giovi non tenere il corso a quella ruota, sotto la quale stia il piede tuo premuto. Ma poichè a te mai fu cosa sì cara della quale negassi me esserne, quanto io volessi, participe, qui, se questo tuo dolore a te pare caro, fanne, qual suogli, a me, come ad amico, parte. E se t’è molesto, non dubitare che forse noi due insieme potremo quello che tu solo non puoi. Per certo io ti sarò in aiuto o a consiglio da qualche parte utile a vincere l’avversità o a sofferirla.

Pallimacro. Ohimè, Filarco! Nè oro nè gemme nè qual si sia grandissima ricchezza possono a’ mortali rilevare il dolore. E resta, Filarco, resta meco fare come a chi cade l’anello di mano in quello pelago, quale quanto più si trassina, più si intorbida e meno si scorge a ritrovarlo. Quanto più cercherai conoscere le mie profonde miserie, tanto più a me rimescolerai l’animo, e meno da me le potrai discernere. Nè cercare qui essermi utile in altro che in aiutarmi piangere, poichè la fortuna così di me dispone.

Filarco. Ohimè, Pallimacro! Non piangere più. Rammentati in quanti modi tu hai altrove vinta la fortuna con animo virile e fortissimo. E che giova tanto dolersi de’ casi avversi, se non ad aggravare e fare maggiore quel che troppo ti spiace? Lascia questo officio alle femmine, le quali solo sanno fingere e lacrimare. Vedi una minima ferita non governata quanto non rado diventi mortale, e qual si sia ferita profonda con aiuto e studio altrui spesso si sani. Io sento in sue avversità gli altri, per onestare il dolore suo e non parere d’animo enervato o femminile, accusare o la iniquità di suoi nimici, o la perfidia di chi si sia, o la ingiuria della fortuna, e molto avere caro che più e più persone sappino quanto e’