Pagina:Alberti, Leon Battista – Opere volgari, Vol. III, 1973 – BEIC 1724974.djvu/361

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ludi rerum mathecaticarum 357

ad una fonte unica. A parte certi codici cinquecenteschi più o meno contaminati o rifatti, la tradizione manoscritta ci offre materialmente lo stesso testo; ma nella forma, perfino tra i codici quattrocenteschi più affini, rimangono molte piccole varianti, la maggioranza delle quali sarà certamente dovuta a sviste e a correzioni di copisti anziché a revisione da parte dell’autore. Rimane perciò difficile, in fin dei conti, appurare quale sia stata nei minimi particolari della lingua la forma precisa del testo voluta dall’Alberti. Trattandosi di un’opera tecnica, la questione pare avere qui meno importanza che per le opere letterarie: l’essenziale in questo caso (e l’Alberti ci mira esplicitamente nelle ultime parole del trattato) è che il testo sia «chiaro e aperto», cioè che la sostanza sia giusta, chiara e corretta, e s’accordi con le figure che son parti integrali del testo; il che non sempre accade nei codici né nelle edizioni sopra indicate. Per tutte queste ragioni ci è sembrato opportuno scegliere come base uno dei codici più corretti del ’400, e precisamente Ro (che sarebbe tra l’altro anche il codice più antico), e di correggerlo e integrarlo dove paresse strettamente necessario con l’aiuto degli altri manoscritti. Avendo collazionato tutti i codici e controllato in tutti i particolari i procedimenti matematici crediamo che ne risulti un testo finalmente corretto e intelligibile e il più vicino possibile alle intenzioni dell’autore. Ci è parso inutile ingombrare l’apparato di tutte le varianti. Abbiamo fatto invece una scelta soltanto di quelle che giustificano la lezione di passi dubbi o confusi, e che rivelano le fondamentali affinità tra i vari codici, discostandoci da questo principio solo nel caso del cod. H, di cui abbiamo indicato qualche passo che ci sembra caratteristico di glosse o aggiunte posteriori. Le figure sono riprodotte dal cod. FR2, che per questa parte è più completo e più chiaro. In alcuni disegni abbiamo corretto qualche particolare per farlo corrispondere col relativo testo (si trattava di emendare o spostare qualche lettera, di togliere qualche linea erronea, di aggiungere qualche parola descrittiva). In due casi però, ove i codici sono concordi, non siamo riusciti a vedere chiaro nei procedimenti descritti dall’Alberti; a p. 160 (e relativo disegno), egli non spiega bene l’uso della statera, né si capisce perché essa debba essere «accomandata» al luogo D; a p. 168, pare impossibile eseguire il triangolo intorno al secondo dardo D, perché, secondo la stretta interpretazione della lettera, le mire verso Bologna ‘per dirittura’ del dardo e della ciliegia non possono incrociarsi (se non a Bologna) e ‘tagliare il filo posto e tirato fra ’l dardo e la rosa’. In queste circostanze lasciamo stare come sono testo e disegni.