Pagina:Alberti - Della pittura e della statua, Milano, 1804.djvu/138

Da Wikisource.

di leonbatista alberti. 109

grandezza di forma che essi vogliono, vi aggiungono sempre qualche cosa, fino a tanto che ei faccino quella effigie che e’ vogliono. Saranno forse alcuni che penseranno, che nel numero di costoro si abbino a mettere ancora i Pittori, come quegli che nelle opere loro si servono ancora essi dello aggiungervi i colori: ma se tu ne gli dimandarai, ti risponderanno, che non tanto si sforzano di imitare quelle linee, e quei lumi de’ corpi che essi veggono con l’occhio, mediante lo aggiugnere o il levare alcuna cosa a’ loro lavori, quanto che mediante un altro loro artificio proprio e peculiare. Ma del Pittore ne tratteremo altra volta. Costoro veramente che io ho racconti, vanno, ancor che per diverse vie, nondimeno tutti dietro a questo: di fare che tutti i lor lavori, a far i quali si son messi, apparischino per quanto ei possono, a chi gli riguarda molto naturali e simili a’ veri corpi fatti dalla natura. Nel fare la qual cosa certamente, se essi andranno ricercando e pigliando quella diritta e conosciuta ragione e regola, che noi descriveremo, erreranno in vero, erreranno (dico) molto manco; ed i loro lavori riusciranno per ogni conto migliori. Che pensi tu? se i legnajuoli non avessero avuto la squadra, il piombo, la linea, l’archipenzolo, le seste da fare il cerchio, mediante i quali instrumenti, essi possono ordinare gli angoli, spianare, dirizzare, e terminare