Pagina:Albini - Il figlio di Grazia, Milano, Vallardi, 1898.djvu/147

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In quella primavera arrivò l’annuncio che il Vescovo avrebbe risalito la valle, in tutti i suoi villaggi più nascosti. Erano quindici anni che non veniva, e tutto il paese si mise in moto. Giovinetti e bambini in fasce avrebbero ricevuto la cresima insieme ai ragazzi: ed anche uomini, padri di famiglia, che, assenti dal paese nell’altra occasione, non si erano mai fatti cresimare.

Il Vescovo fu preceduto da un missionario che tenne delle prediche di preparazione, e fu in quel sereno principio d’aprile un rifiorire in tutti i cuori di sentimenti religiosi. Fino a sera tardi la chiesa risplendeva di lumi e risonava di canti, e in tutte le case non si parlava d’altro che di prediche, di cresima e di preparativi; il mercato di Varallo aveva visto quella settimana una folla di montanare scese a far acquisti di stoffe, di scarpe e di veli bianchi.

Natale era profondamente compreso del sacramento che avrebbe ricevuto: parlava poco, ma con una sentita religiosità che aveva, come ogni cosa in lui, un carattere speciale. Poiché era strano in quel ragazzo il contrasto del candore infantile con la gravità già virile, come quello del suo gran corpo già perfettamente proporzionato — senza gli squilibri dei ragazzi che crescono troppo — e del suo viso così serenamente infantile. Era forse la sua statura che gli impediva di correre e di saltare come gli altri ragazzi della sua età? Era un senso di timidezza di essere diverso dai suoi compagni, di destare sorprese e ammirazioni in tutti, che lo teneva lontano dalle brigate e gli faceva prediligere la sua casa e i suoi cari?