Pagina:Alcuni scritti del dottor Carlo Cattaneo vol. I, Milano 1846.djvu/95

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78 VITA DI DANTE

quistato combattendo il cìngolo di cavaliero. Dante viveva nella più culta e gentile città di quei tempi, quando veniva risurgendo l'arte musicale, e Cimabùe e Giotto risuscitàvano la pittura; poco dopo che i trovatori provenzali e i siciliani avèvano ravvivata la poesìa. Perciò la sua gioventù cavalleresca fu divisa fra le armi e le arti, e nulla ebbe della ferocia castellana.

In un tempo nel quale le famiglie erano sanguinose custodi dell'onor delle donne, e il dovere della vendetta si tramandava nei figli dei figli, l'amore vestiva le forme d'un'affettuosa venerazione. E Dante innamorato, nella prima adolescenza, di donna bellìssima che morì giòvane, ammirato e additato dalle donzelle di Firenze come il più devoto e puro degli amatori, vivendo con cantori e poeti, fra giostre e armeggiamenti, pronto a cavallo nella prima fronte delle battaglie (e così vorremmo che alcuno una volta il dipingesse), non aveva grido di poeta se non per i suoi versi d'amore. Questa tempra appassionata dell'ànimo suo fu ben dipinta dal Balbo in un capìtolo ch'egli intitolò d'amore e poesìa; poichè queste due fiamme àrsero sempre eguali nell'ànima di Dante, e si spènsero solo colla vita.

Se tutto il libro del Balbo fosse dettato con siffatta libertà e scioltezza, sarebbe stato più breve e più bello; ma egli, pur proponèndosi di non volerlo, urtò in un medesìmo scoglio con tutti quelli che scrìssero di Dante. Volle seguirlo passo passo nei diecinove anni del suo esilio, quando da ministro dello stato e d'ambasciatore al Pontèfice, trovàtosi d'improviso sbandito, spogliato dei beni, condannato per calunnia di concussioni ad èssere arso vivo, ebbe a ripararsi qua e là nelle castella dei baroni ghibellini, in mezzo a continui perìcoli di tradimenti e di prigionìa, meditando un libro che redimesse la sua parte dalla taccia d'empietà e dalle maledizioni che gli si fulminàvano ogni anno sugli altari delle città guelfe, e rivolgesse l'odio e l'infamia sul capo de' suoi persecutori. Ora, nessuna menzione mai fece Dante di questo arcano suo Libro dove ne avesse composto le sìngole parti o avesse osato divulgarle. E siccome poneva d'aver fatto la sua visione nell'anno 1300, così v'andava innestando, a modo di predizione, tutti i