Pagina:Alencar - Il guarany, II, 1864.djvu/103

Da Wikisource.

— 103 —

sembiante d’Alvaro, che stava in un’estrema agitazione.

— A voi, don Diego, trasmetto il legato di mio padre; sono persuaso che serberete il suo nome puro quanto la vostra anima, e che vi studierete di innalzarlo, servendo a cause sante e giuste. A voi, Alvaro, affido la felicità della mia Cecilia; e ho fede che Dio, inviandovi a me, or sono dieci anni, non fece se non rendere più compito il dono che mi concesse.

I due giovani aveano piegato un ginocchio a terra, e baciavano le mani del vecchio fidalgo, che collocato nel loro mezzo li comprendeva in un medesimo sguardo di amore paterno.

— Alzatevi, figli miei, abbracciatevi come fratelli, e ascoltatemi ancora.

Don Diego aperse le braccia, e strinse Alvaro al petto; quei due nobili cuori batterono un istante l’uno contro l’altro.

— Ciò che mi rimane a dire è malagevole; rincresce sempre confessare un fallo, anche allorquando si parla ad anime generose. Ho una figlia naturale: la stima che porto a mia moglie e la tema di far arrossire quella povera fanciulla del suo nascimento, mi obbligarono a darle in vita il titolo di nipote.

— Isabella?... sclamò don Diego.

— Sì, Isabella è mia figlia. Vi chiedo ad entrambi di trattarla come tale; che l’amiate come sorella, e la circondiate di tanto affetto, di tanta tenerezza, che possa esser felice, e mi perdoni