Pagina:Alencar - Il guarany, III-IV, 1864.djvu/117

Da Wikisource.

— 115 —

dente prendea l’ultimo e solenne congedo; che partendosi lo schiavo fedele e devoto volea lasciar la sua anima allacciata a quella immagine, che rappresentava la sua divinità sulla terra.

Che sublime linguaggio non parlavano quegli occhi intelligenti, avvivati da un brillante riflesso di amore e felicità? Che epopea di sentimento e di annegazione non ci avea in quella muta e rispettosa contemplazione?

Alla fine Pery fece uno sforzo supremo, e a stento riuscì a rompere l’incanto che lo incatenava e lo teneva immobile, come una statua avanti la bella fanciulla dormiente.

Chinossi sopra il sofà, e baciò rispettosamente la frangia del vestito di Cecilia; quando si alzò, una lagrima triste e silenziosa, rigandogli il volto, cadde sulla manina della fanciulla stesa sulla sponda del sofà.

Cecilia sentendo quella goccia ardente, aperse alquanto gli occhi; ma Pery non vide il moto, perchè già si era voltato e si avvicinava a don Antonio de Mariz.

Il fidalgo, seduto sulla sua poltrona, lo ricevette con un mesto sorriso.

— Tu soffri? gli domandò l’Indiano.

— Per loro, per essa specialmente, per la mia Cecilia.

— Per te no? disse Pery con vivacità.

— Per me? Darei la mia vita per salvarla; e morrei felice!

— Ancorchè ti chiedesse di vivere?