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ii. del principe e delle lettere
 



costume e mill’altre: ma la principalissima parte d’ogni scritto, che dée essere (per metá almeno) l’utile misto col dilettevole; quella parte divina, che ha per base il vero robusto pensare e sentire, totalmente quasi manca in Virgilio. Alle prove. Discende Enea nell’inferno, e gli vien fatta la rassegna dei grandi uomini che sono per illustrar Roma, e per farla poi un giorno signora del mondo. Quale scrittore di veritá, qual pensatore, qual gelido cronologista per anche, si attenderebbe fra questi di mentovarvi primi Cesare ed Augusto? e di mentovarli con ben altre lodi che gli Scipioni, i Regoli, i Fabrizi ed i Fabi, i quali seguono col misero corredo di pochissimi versi? Non contento di ciò, Virgilio spende diciannove altri eccellenti e toccantissimi versi per far menzione d’un Marcellotto nipotino d’Augusto, morto nell’adolescenza, il quale sarebbe affatto sconosciuto, se non era la vile sublimitá di quei versi. Ma per Catone un mezzo verso basta a Virgilio; tre soli per Giunio Bruto; né una parola pure per Marco Bruto. Molti altri grandi vi sono appena accennati, moltissimi preteríti del tutto, e fra questi (chi ’l crederebbe?) il gran Cicerone; perché quel sommo oratore recentemente allora caduto era vittima di quella stessa tirannica mano d’Augusto che, sanguinosa ancora e fumante del sangue dei cittadini romani, pasceva ed avviliva il niente romano poeta. Anzi Cicerone dalla codardia di Virgilio viene espressamente insultato con quelle infami parole: «Orabunt (alii) caussas melius»1; nelle quali uno scrittore latino eccellente, con vile e menzognera sfacciataggine, gratuitamente accorda la palma dell’eloquenza ai greci, o a chi la vorrá; e ciò soltanto per toglierla a Cicerone. Il lettore, a tai passi, ripieno di giusta indegnazione, è sforzato a gridar fra se stesso: — Ecco il pane di Augusto, ecco l’utile che arrecano i principi protettori alle lettere, ecco l’inganno, la viltá e l’errore, che non mai da essi né dai clienti loro scompagnare si possono. —

Parmi innegabile che Virgilio in questo luogo, e in mille



  1. «Altri popoli avranno piú eccellenti oratori, che non ebbero i romani». Virgilio, lib. VI, v. 850.