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libro iii - capitolo viii
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e i lor dritti. Cosí, se non altro, un tal scrittore gli anderá preparando almeno a ricevere poi dal tempo (il quale ogni cosa giá stata finalmente pur riconduce) la loro perduta, o anche la non mai posseduta libertá, virtú e grandezza.

Capitolo Ottavo

Come, e da chi, si possano coltivare le vere lettere nel principato.

Dalla ignoranza totale dei propri diritti e facoltá, nasce indubitabilmente la durabile servitú d’ogni popolo: ed è piú o meno grave il servaggio, secondo che maggiore o minore persiste questa ignoranza. Dunque, la conoscenza intera dei propri diritti e facoltá, cagionando nell’uomo l’effetto contrario alla ignoranza di essi, dée pur necessariamente divenire la cagione e la base di una durevole libertá.

Fra i popoli liberi, si ardisce pensare, dire e scrivere ogni cosa, purché non sia contra i savi costumi; fra i popoli servi, nessuna altra cosa si può forse impunemente offendere fuorché i savi costumi. Se le lettere altro non debbono essere che un incentivo alla veritá e alla virtú, vien dunque dimostrata dai precedenti assiomi, che elle saranno o effetto di libertá stabilita, o prossima cagione di essa, ove però non tradiscano il loro sacro dovere. Le lettere dunque potendo nelle vere repubbliche interamente essere ciò ch’elle esser debbono, pare che quegli uomini tutti, come liberi (ove abbiano pure l’ingegno a ciò richiesto) possano tutti por mano alle lettere senza avvilirle né deviarle. Ma nei principati, dove le vere lettere debbono essere e farsi cagione di libertá e di virtú, pare che elle non abbiano ad essere maneggiate se non da coloro che son meno schiavi. Ora i meno schiavi nel principato, sí per una certa indipendenza data dalle ricchezze, che per una certa meno pessima educazione che dovrebbero aver ricevuta, e cosí anche per una certa altezza di sensi che potrebbero aver bevuta col latte, e in fine per avere col viver fra l’armi mantenuto un non so che di