Pagina:Alfieri, Vittorio – Della tirannide, 1927 – BEIC 1725873.djvu/295

Da Wikisource.
 
dialogo
289



Vittorio. Ed appunto per ciò traluce in questi tuoi scritti un certo vero, e non affettato né ingrandito senso del bello, dal quale vorrei che con loro vergogna imparassero codesti moderni entusiasti che le gran parole grandi cose non sono; e che il caldo dell’anima di chi ha osservato e sentito il bello non trapassa veramente nel cuore di chi ne legge il risultato, se non per via della piú naturale semplicitá.

Quindi io avea presso che risoluto in me stesso di dare in luce quelle tue sole descrizioni dei dipinti della sala del palazzo pubblico in Siena; i quali, per essere bei fatti di storia d’amor patrio e di libertá, non avrebbero meno testimoniato il tuo finissimo tatto nell’arte che il tuo forte entusiasmo per le vere e sublimi virtú; e mi parea di vederviti in poche tue parole vivamente dipinto te stesso; e mi bastava ciò, per mostrare di te quasi un raggio al volgo degli uomini; e, per tutto in somma svelarti, a quel tuo brevissimo scritto disegnava io di far precedere una tua brevissima vita in cui dimostrato avrei, ma con modeste parole, del pari il tuo raro valore e la mia calda amicizia e ammirazione vera per te.

Francesco. Vita? che dici? Per la nostra amicizia caldamente ten prego, no ’l fare.

Le vite scriveansi altre volte de’ santi, affinché le leggessero gl’idioti: e quelle degli uomini politicamente grandi in virtú, affinché, leggendole i pochi che di grandezza aveano alcun seme nel cuore, piú fortemente e piú tosto, mossi da nobile maraviglia ed invidia, lo sviluppassero; e leggendole gli altri moltissimi impotenti, se ne maravigliassero soltanto. Le vite si scrivono presentemente d’ogni principe che fatto abbia o disfatto delle leggi, e vinte o perdute delle battaglie, e d’ogni autore che schiccherato abbia comunque alcuni fogli di carta.

Ma quali che sian stati costoro, la base pur sempre di questa loro terrena apoteosi si è l’essere essi stati conosciuti almeno o saputi; ma lo scriver la vita di uno che nulla ha fatto, e che nessuno sa che sia stato, sarebbe giustamente reputato espressa follia; che se fra i termini della mediocritá d’ogni cosa

 V. Alfieri, Opere - iv. 19