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380 oreste
Mira, è sangue d’Egisto. Io ’l vidi appena,

corsi a ucciderlo lá; né rimembrai
di trascinarlo alla tomba del padre.
Ben sette e sette volte entro all’imbelle
tremante cor fitto e rifitto ho il brando: —
pur non ho sazia la mia lunga sete.
Elet. In tempo dunque a rattenerti il braccio
non giungea Clitennestra.
Oreste   E chi da tanto
fora? a me il braccio rattener? Sovr’esso
io mi scagliai; non è piú ratto il lampo.
Piangea il codardo, e piú m’empiea di rabbia
quel pianto infame. Ahi padre! uom che non osa
morir, ti uccise?
Elet.   Or vendicato è il padre;
tuoi spirti acqueta; e dimmi: agli occhi tuoi
Pilade non occorse?
Oreste   Egisto io vidi,
null’altro. — Ov’è Pilade amato? e come
a tanta impresa non l’ebb’io secondo?
Elet. A lui la disperata madre insana
dianzi affidai.
Oreste   Nulla di loro io seppi.
Elet. Ecco, Pilade torna;... oh ciel! che veggio?
solo ei ritorna?
Oreste   E mesto!


SCENA ULTIMA

Oreste, Pilade, Elettra.

Oreste   Oh! perché mesto,

parte di me, se’ tu? non sai che ho spento
io quel fellone? vedi; ancor di sangue
è stillante il mio ferro. Ah, tu diviso
meco i colpi non hai! pasciti dunque