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atto quarto 203
scemar mio sdegno? Ei non svenommi il figlio?

Non mel dicesti? e nol confessa ei stesso?
E non mel dice, grondante di sangue,
questo suo cinto, che tu in man m’hai posto?
Egisto Quel cinto è mio, tel giuro. Dal mio fianco
cadea sfibbiato...
Polid.   Un altro esser potrebbe
simile a quello... E quell’ucciso... forse
non era il figlio tuo...
Mer.   Qual nuova ascolto
iniqua fraude!... Ahi rio tiranno! or tutti
dunque hai corrotti? anche costui, giá tanto
fedele a noi? Quasi a trionfo, in vita
vuoi l’assassin del mio figliuolo, e fingi
volerlo spento? e mezzi tali?...
Polif.   O donna,
tu pel dolor vaneggi. Or, chi non vede?...
Mer. Dunque, se spento il vuoi davver, null’altro
piú mi riman da udire. A fren non tengo
giá piú mia rabbia omai: giá giá mi adira
contro me stessa ogni indugiar. Che vale
il piú inoltrarci? in queste soglie ovunque
del par si aggira il trucidato sposo:
tosto ei si appaghi. — A me quel ferro; io stessa,...
io sí, svenarlo or di mia mano...
Egisto   Il petto
eccoti ignudo. Ahi madre!...
Polid.   Arresta...
Mer.   Muori.
Polid. Deh! ferma...
Polif.   Osi tu tanto?
Mer.   Iniquo... Oh vista!
Tu piangi, e tremi?... Ed io, ferir nol posso!...
Polif. Qual havvi arcano? Or via, vecchio, favella.
Polid. Deh! per pietá...
Polif.   Parla.