Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/267

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atto secondo 261
tutto render gli dei.

Maria   S’io men lo amassi,
piú d’un consiglio avria; da se lasciarlo
precipitarsi a forza in mille e mille
palesi danni: che a buon fin (pur troppo!)
uscir non ponno i mal tessuti suoi
disegni omai. Ma, combattuta io vivo
in feroce tempesta. Ogni suo danno,
per una parte, piú che a lui, mi duole;...
ma s’egli, ei sol, vuole il suo peggio... Eppure
colpa mia grave ogni suo danno or fora.
E il figlio... Oh ciel! se il figlio in mente io volgo,
in cui forse gli error potrian del padre
cadere un dí!... piú allor non so...
Bot.   Regina,
tu non m’imponi d’adularti: ed io
di servirti m’impongo. In te sol pugni
l’amor di madre coll’amor di sposa.
Tranne il figlio, dar tutto a Arrigo dei.
Maria E il figlio appunto, oltre ogni cosa, ei chiede.
Bot. Ma ne sei donna tu? Pubblico nostro
pegno ei forse non è? Qual maraviglia,
se reo marito, peggior padre or fosse?
Maria Pure, a placar la sempre torbid’alma,
io gli promisi...
Bot.   Il figlio? Egli disporne?
Bada.
Maria   Ei disporne? non l’ardisco io stessa:
pensa, se il lascio altrui.
Bot.   Dunque antivedi,
ch’altri nol tolga a te.
Maria   — Ma, dove or vanno
i tuoi detti a ferir? sai forse?...
Bot.   Io?... Nulla...
Ma penso pur, ch’oggi quí forse a caso
non torna Arrigo. Ai delator, che molti