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330 la congiura de’ pazzi
nel tuo Raimondo: assai Lorenzo è caldo

di giovinezza e di possanza: uscirne
di te, del figlio, e di tua stirpe intera
può la rovina: ma può uscirne ancora,
a tradimento, la rovina nostra.
Non di Lorenzo, qual fratello, io parlo;
né tu, qual padre, del figliuol favella:
siam cittadini, e tu il migliore. Or dimmi;
forte adoprarci in risparmiar tumulti,
scandali, e sangue, or nol dobbiamo a prova?
Tu tanto or piú, che in vie maggior periglio
ti stai? — Tu, ch’osi nominar servaggio
il serbar leggi, il vedi; infra novelli
torbidi, a voi si puote accrescer carco
piú che scemarsi, assai. Padre ad un tempo
e cittadin sii tu: piega il tuo figlio
alquanto; e sol, che a noi minor si dica,
ne fia pago Lorenzo. Ogni alto danno
con un tuo detto antivenir t’è dato.
Gugl. Chi può piegar Raimondo? e degg’io farlo,
s’anco potessi?
Giul.   Or via, tu stesso dimmi:
se ti trovassi in seggio, e il poter tuo
tolto a scherno da noi, com’egli ha il nostro,
vedessi tu; che allor di noi faresti?
Gugl. Io stimerei di tanto altrui pur sempre
far maggior scherno in occupar lo stato,
che ogni scherno a me fatto avrei per lieve.
Di libertá qual minor parte puossi
lasciar, che il dire, a chi del far vien tolta?
Ogni uom parlare a senno suo potrebbe,
s’io fossi in voi; ma oprar, soltanto al mio.
Da temersi è chi tace: al sir non nuoce
dischiuso tosco. — Io schietto ora ti parlo:
d’audace impresa il mio figliuol non stimo
capace mai: cosí il foss’ei! vilmente