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Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/361

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atto primo 355
non che di nuocer, di tentare. Il mezzo,

e il migliore e il piú ratto a un tanto effetto,
liberamente ognun di voi mi mostri.
Diego Padre, e signor, non che di noi, di tutti;
che poss’io dirti di ragion di regno,
che tu nol sappi? Assai de’ reo chiamarsi,
parmi, colui che al suo signor non piace:
che fia quei che, abborrito, anco lo abborre?
Ha congiunti chi regna? Or, poiché al prence
la sorte amici non concede mai,
che falsi, od empj; almen non dee nemici
ei tollerar, né aperti mai, né occulti.
Tranne esempio da lui, che il tosco scettro
tenne anzi te; quell’Alessandro, quello,
che a tradimento trafitto cadea;
ei de’ congiunti a diffidar t’insegni,
piú che d’ogni altro. Amistá finta, e lunga
servitú finta, e affinitade, apriro
infame strada al traditor Lorenzo
d’immerger entro al regio petto il ferro.
Ben sapea di costui l’animo iniquo
il prence in parte, e diffidar non volle:
anzi lo accolse, e il fea de’ suoi, sí ch’egli
al fin lo uccise. — Ah! gli odj altrui previeni:
dolcezza, in chi può non usarla, apponsi
a timor solo; e assai velar chi regna
de’ il suo timor; che il piú geloso arcano
di stato egli è: guai se si scopre: tace
tosto l’altrui terrore: e allor, che avviene? —
Pera Salviati; è il parer mio: ma pera
apertamente. Egli ti offende, e a giusta
morte tu il danni, ma, non far che oscura
timida nube i maestosi raggi
del tuo potere illimitato adombri.
Garzia Se a prence in soglio nato, e all’ombra queta
di propizia fortuna indi cresciuto