Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/227

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atto primo 221
nullo omai si agguagliava; allor che l’alta

scelta di Mirra a noi pur tanto piacque;
quando in se stessa compiacersen ella
lieta dovea; piú forte in lei tempesta
sorger vediamo, e piú mortale angoscia
la travaglia ogni dí?... Squarciar mi sento
a brani a brani a una tal vista il core.
Euric. Deh, scelto pur non avesse ella mai!
Dal giorno in poi, sempre il suo mal piú crebbe:
e questa notte, ch’ultima precede
l’alte sue nozze, (oh cielo!) a lei la estrema
temei non fosse di sua vita. — Io stava
tacitamente immobil nel mio letto,
che dal suo non è lungi; e, intenta sempre
ai moti suoi, pur di dormir fea vista:
ma, mesi e mesi son, da ch’io la veggo
in tal martír, che dal mio fianco antico
fugge ogni posa. Io del benigno Sonno,
infra me tacitissima, l’aíta
per la figlia invocava: ei piú non stende
da molte e molte notti l’ali placide
sovr’essa. — I suoi sospiri eran da prima
sepolti quasi; eran pochi; eran rotti:
poi (non udendomi ella) in sí feroce
piena crescean, che al fin, contro sua voglia,
in pianto dirottissimo, in singhiozzi
si cangiavano, ed anco in alte strida.
Fra il lagrimar, fuor del suo labro usciva
una parola sola: «Morte... morte;»
e in tronchi accenti spesso la ripete.
Io balzo in piedi; a lei corro, affannosa:
ella, appena mi vede, a mezzo taglia
ogni sospiro, ogni parola e pianto;
e, in sua regal fierezza ricomposta,
meco adirata quasi, in salda voce
mi dice: «A che ne vieni? or via, che vuoi?...»