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atto secondo 289
giusto furor lascio il punir l’infame

servo-console Antonio. — Ecco, vien Bruto:
udiam, udiam, s’ei dal mio dir dissenta.


SCENA TERZA

Bruto, Cicerone, Cassio, Cimbro.

Cicer. Sí tardo giunge a cotant’alto affare

Bruto?...
Bruto   Ah! primiero io vi giungea, se tolto
finor non m’era...
Cimbro   E da chi mai?
Bruto   Pensarlo,
nullo il potria di voi. Parlarmi a lungo
volle Antonio finora.
Cicer.   Antonio?
Cassio   E il vile
satellite di Cesare otteneva
udíenza da Bruto?
Bruto   Ebbela, e in nome
del suo Cesare stesso. Egli abboccarsi
vuol meco, ad ogni patto: a lui venirne
m’offre, s’io il voglio; o ch’egli a me...
Cimbro   Certo, ebbe
da te ripulsa...
Bruto   No. Cesare amico,
al cor mio schietto or piú terror non reca,
che Cesare nemico. Udirlo io quindi
voglio, e fra breve, e in questo tempio stesso.
Cassio Ma, che mai vuol da te?
Bruto   Comprarmi; forse.
Ma in Bruto ancor, voi vi affidate, io spero.
Cassio Piú che in noi stessi.
Cimbro   Affidan tutti in Bruto;
anco i piú vili.


 V. Alfieri, Tragedie - III. 19