Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/305

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atto terzo 299
a Bruto; ove pur tale ei me non sdegni.

Quí non udrai, né il dittator di Roma,
né il vincitor del gran Pompeo...
Bruto   Corteggio
sol di Cesare degno, è il valor suo:
e vieppiú quando ei si appresenta a Bruto. —
Felice te, se addietro anco tu puoi,
come le scuri ed i littor, lasciarti
ed i rimorsi e il perpetuo terrore,
di un dittator perpetuo!
Cesare   Terrore?
Non che al mio cor, non è parola questa,
nota pure al mio orecchio.
Bruto   Ignota ell’era
al gran Cesare in campo invitto duce;
non l’è a Cesare in Roma, ora per forza
suo dittatore. È generoso troppo,
per negarmelo, Cesare: e, senz’onta,
può confessarlo a Bruto. Osar ciò dirmi,
di tua stessa grandezza è assai gran parte.
Franchi parliam: degno è d’entrambi. — Ai molti
incuter mai timor non puote un solo,
senza ei primo tremare. Odine, in prova,
qual sia ver me il tuo stato. Uccider Bruto,
senza contrasto il puoi: sai, ch’io non t’amo;
sai, che a tua iniqua ambizíone inciampo
esser poss’io: ma pur, perché nol fai?
Perché temi, che a te piú danno arrechi
l’uccidermi ora. Favellarmi, intanto,
e udirmi vuoi, perché il timor ti è norma
unica omai; né il sai tu stesso forse;
o di saperlo sfuggi.
Cesare   Ingrato!... e il torre
di Farsaglia nei campi a te la vita,
forse in mia man non stette?
Bruto   Ebro tu allora