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358 parere dell’autore

tissima azione a quegli uditori fra cui si troveranno molti uomini che siano ad un tempo e cittadini e fratelli: e per quelli principalmente, credo che la esponesse in palco l’autore.

Il parlar del soggetto di Merope, è un Portar nottole ad Atene, o vasi a Samo. Mi son dovuto anche giá dilungare alquanto su questa nel rispondere a certe ingegnose obiezioni del signor Cesarotti: onde, non mi resta quasi nulla da quí inserire su questa tragedia, non volendomi dal mio proposto rimuovere. I paragoni son tutti delicatissimi a farsi ed odiosi; e la persona che vien creduta parziale, non è mai quella che li possa discretamente fare con felicità d’esito, e con vero vantaggio dell’arte. Mi tocca pure di render conto brevissimo del carattere de’ miei personaggi, caso che non fossero quegli stessi delle altre Meropi.

Merope mi pare esser madre dal primo all’ultimo verso; e madre sempre; e nulla mai altro, che madre: ma, madre regina in tragedia, non mamma donnicciuola.

Polifonte, è tiranno sagace, destro, e prudente; e, per quanto mi sembra, verisimile tiranno, e non vile.

Egisto è un giovanetto ben nato, e talmente educato, ch’egli può veramente assumere il personaggio di nepote d’Alcide, allor che viene a conoscer se stesso, senza punto uscir di se stesso.

Polidoro mi pare quale dovea essere colui, a chi una regina affidava il suo piú caro pegno, l’unico figlio rimastole, il solo legittimo erede del trono.

L’autore ha dovuto di necessitá impiegare molta piú arte nel condurre questa tragedia, che in nessuna altra sua; dovendo sempre avere innanzi agli occhi, che se egli non la intesseva meglio, cioè piú semplicemente, piú verisimilmente, e piú caldamente, che le precedenti di un tal nome, egli dimostrava contro a se stesso ch’ella era stata temeritá l’intraprendere di far cosa fatta. Ma debbo pur anche confessare per amor del vero, ch’ove egli mai fosse in ciò riuscito, la gloria di chi tratta un soggetto per cosí dire esaurito dagli altri, rimane assai picciola; in quanto chi vien dopo si può interamente valere delle bellezze trovate dai predecessori, e toglierne o minorarne i difetti. Tanto maggiore quindi glie ne spetta la vergogna, se egli non vi è riuscito. Ove ciò sia