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nota 407


Ma, che posso io dirti,
Che della prisca mia grandezza, e a un tempo
Della presente mia miseria, degno
Parer ti possa?
(Sofonisba, a. I, sc. 3).

Ma, per me parli il mio romano brando
(Bruto Primo, a. I, sc. 2).

ma, spesse volte
La mestizia è natura
(Mirra, a. II, sc. 2).


In tutti questi casi il Milanesi toglie la virgola, con qualche incomprensione per le intenzioni — in verità non ermetiche — dell’Alfieri.

L’edizione presente è invece fedelissima al Didot, tranne il caso di errori manifesti e comprovati. Per esempio nel Don Garzia1 ai versi

in lui, benché da me diverso
Semi pur veggo io di virtú

gli editori pongono una virgola dopo la parola diverso; e potrebbe in verità trattarsi anche di omissione involontaria. Ma, poiché non manca qualche altro caso in cui il taglio del verso è stato avvertito come pausa che sostituisce il segno di interpunzione, io ho lasciato la lezione come si trova nel Didot.

Dopo questi cenni mi pare che si possa modificare un poco l’apprezzamento che si fa comunemente sull’interpunzione alfieriana. Se è pure innegabile che, in alcuni casi, un modo piú logico e comune aiuterebbe la comprensione del lettore non molto assuefatto allo stile teso — e talvolta approssimato — del singolare scrittore, è anche da riconoscere, in molti altri, che certe particolaritá sono dovute al gusto della vibrata apostrofe drammatica, delle espressioni concise e sentenziose.

  1. a. II, sc. 4.