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di vittorio alfieri 97


Ecco ch’io lieto, ora, se il fui giammai,
Esser dovrei; poiché vieppiú mi appresso
A chi pur tanto sospirando andai,
8 E in cui mia speme e vita e gloria ho messo.
E or pur mi assal, senza ch’io tor mel possa,
Nuovo un terror che me la pinge inferma;
11 E me ne scorre il brivido per l’ossa.
Ma d’onde il so? la sconsolata ed erma1
Vita ch’io meno, ogni fantasma ingrossa;
14 Né dal troppo sentir senno mi scherma.2


LXXXVIII [cxxi].3

Avvicinandosi alla sua donna,

si sente rinascere il coraggio.

Era di maggio il quarto giorno, e l’ora4
Pria della sesta, il dí che fuor mi trasse
Di dolce vita; e il rimembrarlo ancora5
4 Mi duol, come ora il cuor mi si schiantasse.
Dal punto in poi, per me non sorse aurora,
Che noja, e pianto, e guai non mi arrecasse;
E sí6 pur vissi, che la speme ognora
8 Con sue lusinghe il viver mi protrasse:
Ma un morir lento era la vita mia;
Il mio poco intelletto, e il gran desire
11 D’acquistare alta fama in me languia.
L’ingegno e il cor mi sento or rïaprire,
Nell’appressarmi all’alta leggiadria,
14 Che darà breve tregua al mio martíre.


  1. 12. Erma, solitaria.
  2. 14. Scherma, ripara: anche Dante (Purg., VI, 151):
    ... con dar volta suo dolore scherma.
  3. Nel ms.: «14 agosto, cominciato durante il viaggio, finito in Costanza».
  4. 1. Il Petrarca, nel Trionfo della Morte I, 133.
    L’ora prim’era e il di sesto d’aprile...
  5. 2-3. Il giorno, vuol dire l’A. che mi dovetti separare dalla mia donna, e fu appunto il 4 di maggio del 1783.
  6. 7 E sí, e pur in questa dolorosa maniera.
 Alfieri, Rime varie. 7