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di vittorio alfieri 125


CXXV [clxix].1

Ira e mestizia.

Due fere donne, anzi due furie atroci,
Tor non mi posso (ahi misero!) dal fianco;
Ira è l’una,2 e i sanguigni suoi feroci
4 Serpi mi avventa ognora al lato manco;
Malinconia dall’altro, hammi con voci
Tetre offuscato l’intelletto e stanco;3
Ond’io null’altro che le Stigie foci4
8 Bramo, ed in morte sola il cor rinfranco.
Non perciò d’ira al flagellar rovente
Cieco obbedisco io mai; ma, signor d’essa,
11 Me sol le dono, e niun fuor ch’io la sente.5
Non dell’altra cosí: che appien depressa
La fantasia mi tien, l’alma, e la mente..
14 A chi amor non conosce, insania espressa.6


CXXVI [clxxi].7

La morte di Annibale.

«Il peggio è viver troppo»;8 e il sepper molti;
Primo tra gli altri quell’Annibal degno,9
Ch’esul canuto10 andò di regno in regno
4 Onta accattando appo tiranni stolti.11
E se i veraci sensi12 eran raccolti,
Ch’ultimi espresse quel feroce ingegno,13


  1. Nel ms.: «14 agosto, sulla strada di Colmar».
  2. 3. Ira è l’una: vegg. la nota al v. 10 del sonetto. Sublime specchio di veraci detti.
  3. 6. Stanco, participio per stancato.
  4. 7. Le Stigie foci, l’Averno, la morte.
  5. 9-11. Forse cosí nel 1786; ma negli anni prima l’ira dell’A. cadeva terribilmente ora su questo ed ora su quello, come abbiamo veduto.
  6. 14. Espressa, manifesta, indubitabile
  7. Nel ms.: «15-16 agosto, finito a Lutzback».
  8. 1. Il peggio è viver troppo: non credo che queste parole sieno di alcuno scrittore; sono piuttosto una espressione proverbiale.
  9. 2. Degno, di ammirazione: questo aggettivo è adoperato senza complemento specificativo anche da Dante (Inf., VI, 79):
    Farinata e il Tegghiaio, che fûr sí degni...
    per Annibale ebbe sempre grande ammirazione l’A.; vegg. nel Misogallo il son. Odio all’emula Roma acerbo, eterno.
  10. 3. Canuto. Quando fu preso, Annibale aveva settant’anni.
  11. 4. Tiranni stolti, Antioco, re di Siria e Prusia, re di Bitinia. — Appo (lat. apud), presso.
  12. 5. Sensi, parole.
  13. 6. Ingegno, anima, mente.