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di vittorio alfieri 131


CXXXIII [clxxxi].1

Ritorno alla vita.

Morte già già mi avea l’adunco artiglio
Tenacemente2 al cor dintorno attorto;
Esangue, e col pensier già in tomba assorto,3
4 Pender su me vedea, turbata il ciglio,4
Muta qual madre, sovr’unico figlio,
Quella per cui di vita i guai sopporto:
E vedea d’altra parte in viso smorto
8 Starsi l’amico, ond’ha il mio cor consiglio.5
Oh! quanti strali trafiggeanmi l’alma!
Lasciar l’amata, l’amico e la spene
11 Della sí a lungo sospirata palma!...6
Quand’ecco rieder vita entro mie vene.
Gloria, amistade, amore, or voi mia salma
14 Serbaste... ah sol per voi la vita è un bene.


  1. Dopo essere stato qualche tempo in Alsazia, verso la fine di luglio 1787, l’A. partí con la Signora per Ginevra, dove sapeva che avrebbe incontrato l’Abate di Caluso, e di là tutti insieme andarono a Colmar. Ma la comune villeggiatura, che prometteva tanto piacere, fu invece un séguito di dolori e di ansie; dapprima, l’ospite in una caduta si slogò il pugno, poi l’A., fu assalito da una feroce dissenteria, che durò per lo spazio di sei settimane. «Quando cominciò a migliorare, era scheletrito e annichilato in tal modo, che per altre quattro settimane in circa, quando gli si dovea rifar il letto, lo levavano di peso per trasporlo in un altro finché fosse riportato nel primo» (Aut., IV, 17°). Durante questa penosa convalescenza, il 25 settembre, compose il sonetto surriferito e due giorni dopo un altro burlesco sulla sua malattia, che in questa edizione si omette.
  2. 2. Tenacemente, riferito alla lunghezza della malattia.
  3. 3. Assorto, tutto vòlto.
  4. 4. Turbata il ciglio, accus. di relazione.
  5. 7-8. Tommaso Valperga di Caluso, che già abbiamo incidentalmente ricordato, nacque a Torino nel 1737, fu Cavaliere dell’Ordine di Malta, sacerdote di larghe vedute, direttore dell’Osservatorio nella città nativa e professore di lingue orientali sino al 1814, nel quale anno gli fu tolto l’impiego; nel 1815 morí. L’A. ebbe della sua mente grandissima stima, tanto che lo chiamava il piccolo Montaigne; nel cuor suo occupò, fino al dí della morte, il posto lasciato dal Gori.
  6. 9-11. «Doleami assai di morire, lasciando la mia donna, l’amico, ed appena per cosí dire abbozzata quella gloria, per cui da dieci e piú anni io aveva tanto delirato e sudato» (Aut., IV, 17°). L’A. era venuto da qualche tempo nella determinazione di stampare le sue tragedie presso Francesco Didot, e il lavoro era incominciato nel maggio di quell’anno 1787; da questa pubblicazione il Poeta attendeva o il Campidoglio o la Rupe tarpèa.