Pagina:Alfieri - Rime scelte, Sansoni, 1912.djvu/17

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prefazione ix


non mi potranno chiamare cigno, perché al mio verso troppo spesso mancò la dolcezza, almeno mi chiameranno colomba per la sincerità e la nobiltà degli intenti. Sotto questo aspetto può dirsi che l’A., il quale delineò nel libro intitolato Del Principe e delle lettere il perfetto scrittore, non contaminato e costretto a contaminare l’arte sua con la protezione dei potenti, non pavido dinanzi alla verità da rivelarsi agli uomini per non cadere nell’ira di chi gli getta il pane e lo colma di onori, volle poi darne in se stesso il piú nobile esempio.

Inesauribile sorgente di poesia è per l’A. l’amore per la sua donna. Oh, non è questa la Fillide, la Licori, l’Amarillide cresciuta fra gli alberi bene allineati del Bosco Parrasio! Per buona sorte, sebbene gli Arcadi lo avessero iscritto tra i loro, Vittorio Alfieri non fu mai Filacrio Eratrastico e, se cantò d’amore, fu sempre l’uomo, il Poeta dal cuore maschio e gagliardo. Nulla, o quasi nulla, di svenevole in cento e cento sonetti che egli indirizza alla sua donna, nessuna leziosaggine nelle tante espressioni d’amore ch’egli le scrive; il suo è un amore sano, non cresciuto all’ombra insidiosa dei salotti, o, almeno, restatovi per assai breve tempo: il suo amore si è nutrito e irrobustito durante le pazze corse a cavallo traverso alla campagna romana, o nella solitudine delle foreste germaniche o nella appassionata e tumultuosa ammirazione delle gesta compiute da coloro che nelle pagine di Plutarco vivono di vita immortale. Piange, sí, spesse volte l’A., se è lontano dalla sua donna, ma il suo non è il pianto del pastore vittorelliano che chiede alle amiche piante se tornerà o no la sua donna: l’A. piange come un’anima forte, temprata a dure battaglie, che anela alla presenza dell’unica persona a cui si compiace e si degna di aprire il suo cuore, di confidare i suoi sogni, di leggere ciò che ha scritto, e dalla quale attende la parola di lode o il severo giudizio. Della vera Contessa d’Albany nel canzoniere alfieriano ce n’è ben poca, - guai se l’A. ce l’avesse rappresentata quale realmente essa fu! - Si può anzi dire che, come ella