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di vittorio alfieri 181


Dotto in latrare, ove il latrar non nuoce,
8 Degli affetti non suoi se stesso pinge.
Timido, incerto, intorno a sé sogguarda;
Lontani addenta e prossimi lambisce
11 I Grandi, ognor con libertà bugiarda.
L’occhio, il contegno, il dir, tutto tradisce
Del reo Liberto1 l’anima codarda,
14 Cui Schiavo in fronte la Viltà scolpisce.


CLXXXII.2

Desidera che la morte lo colga insieme con la sua donna.

Donna, s’io sol di me cura prendessi,
Pur di sottrarmi ai dí solinghi pago,
Forse avverría che voti al Ciel porgessi,
4 Di premorirti ardentemente vago.
Ma quando (ove tu a me sopravvivessi)
Quella tua vita entro al futuro indágo,3
Tremendi allor mi fa di Cloto i messi4
8 La tua dolente scompagnata immago.
Vogl’io perciò ver l’alte sfere il volo
Vederti sciorre, ed io quaggiú senz’alma
11 Restar piangendo, orribilmente solo?
Morte di un sol di noi non avrà palma;5
D’entrambi a un tempo a lei daralla il duolo:
14 Sola un’anima siam, sola una salma.


CLXXXIII.6

Alla speranza.

Speme, il cui ratto ingannator pensiero
Compendia all’uom l’anticipata vita,7
Sempre al futuro o all’ideale mero8
4 Sua mente inferma sospingendo ardita;


  1. 13. In questo reo Liberto l’A. volle probabilmente personificare i Rivoluzionari francesi in genere, liberti chiamate infinite volte nel Misogallo.
  2. Nel ms.: «1 novembre, alle Cascine. Non mesto abbastanza per sí sacra cosa. Tempo divino».
  3. 5-6. Quando figgo gli occhi nel futuro, per indagarvi quale sarebbe la tua vita senza di me.
  4. 7. Di C. i m., i messaggi della Parca.
  5. 12. Palma, vittoria.
  6. Nel ms.: «4 febbraio, al Poggio. Giorno di Berlingaccio. Stando meglio».
  7. 1-2. Mercé la speranza, l’uomo vive sempre affrettatamente la vita che non ha peranco vissuta.
  8. 3. Mero, puro, semplice.