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rime varie 101


CXLVI (1784).

Era l’amico, che il destin mi fura,
Picciol di corpo, e di leggiadre forme;
Brune chiome, occhi ardenti, atto conforme;
E scritto in viso: Io son d’alta natura.

Liberissimo spirto in prigion dura
Nato, ei vi stava qual leon che dorme;
Ma il viver nostro fetido e difforme
Ben conoscea quell’alma ardita e pura.

Null’uom quasi apprezzando, (a dritto forse)
Nullo pur ne odïava; e a tutti umano,
Sol ben oprando ei stesso, i rei rimorse.

Troppa era ei macchia al guasto mondo insano:
Invidia, credo, i lividi occhi torse,
E a Morte cruda lo accennò con mano.

CXLVII.

Deh! torna spesso entro a’ miei sogni, o solo
Vero amico ch’io avessi al mondo mai;
Deh! dal tuo avello torna a udir mie’ guai;
Che il pianger teco a me pur scema il duolo.

Fuor del carcer terren seguíto a volo
Ti avrei quel dì, che a forza io mi strappai
Dall’amata; quel dì, ch’io invan chiamai
Te, cui già muto racchiudeva il suolo:

Ma colei che dell’uom sempre s’indonna,
Speme, vuol ch’io sorviva, e aspetti l’ora,
Che rïunir dovrammi alla mia donna.

Fra noi ti alberga, ombra adorata, allora.
Calda memoria in noi mai non assonna;
Che, te vivo, in tre corpi un’alma fora.