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102 vittorio alfieri


CXLVIII.

Eccomi solo un’altra volta, e in preda
Agli oscuri miei tristi pensamenti:
Ecco, e più gravi, gli usati tormenti,
Cui sol chi prova avvien che veri creda.

Qual uom, che innanzi lampeggiar si veda,
Riman con gli occhi d’ogni vista spenti;
Tal io resto al sparir de’ dolci ardenti
Tuoi lumi; orbo finch’io non li riveda.

Dopo anni e mesi di continua morte,
Le due lune ch’io vissi del tuo aspetto,
Parean dovermi fare in me più forte:

Ma può il dolor, più ch’io, dentro al mio petto:
E aggiungi, ch’or non ho chi me conforte;
Or, che l’amico nostro è in tomba astretto.

CXLIX.

Donna mia, che di’ tu? ch’io men dolente
Rimaner debbo, or che lusinga certa
Portiamo in cor, che alla stagion nascente
Nulla pena per noi fia più sofferta?

Ma noi lasciamo un vero ben presente,
Per un mal lungo e una speranza incerta:
Che speme il nome di certezza smente;
Anzi a temenza ell’è lieve coperta.

Breve tanto è la vita, e lunghi i guai,
Che un altro verno ancor da te disgiunto,
Io, per me, non lo credo passar mai.

Son ripartito; (da te m’era ingiunto)
Ma disperato, e misero più assai;
Che il vederti e lasciarti era un sol punto.