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rime varie 119


CLXXXII.

L’idïoma gentil sonante e puro,
Per cui d’oro le arene Arno volgea,
Orfano or giace, afflitto, e mal sicuro;
Privo di chi il più bel fior ne cogliea.

Borëal scettro, inesorabil, duro,
Sua madre spegne, e una madrigna crea,
Che illegittimo omai farallo e oscuro,
Quanto già ricco l’altra e chiaro il fea.

L’antica madre, è ver, d’inerzia ingombra,
Ebbe molti anni l’arti sue neglette,
Ma, per lei stava del gran nome l’ombra.

Italia, a quai ti mena infami strette
Il non esser dai Goti appien disgombra!
Ti son le ignude voci anco interdette.

CLXXXIII (1786).

Candido cor, che in sul bel labro stai
Di quella schietta che il mio tutto io chiamo;
Per te, più sempre che me stesso io l’amo;
Tu più m’incendi, che i suoi negri rai.

Chi di beltà, chi di lusinghe, e assai
Colti son d’arti e di menzogne all’amo:
Non io; che in prova, libertà non bramo;
E l’anno è il nono de’ miei lacci omai.

Un dirmi ognor soavemente il vero,
Ancor che spiaccia; ed a vicenda, un breve
Sdegno in udirlo, indi un perdon sincero;

Un profondo sentire in sermon lieve;
Infra il lezzo del mondo animo intero:
Bei pregi, a cui servir non fia mai greve.