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rime varie 163


CCLIII (1795).

Donna, s’io sol di me cura prendessi,
Pur di sottrarmi ai dì solinghi pago,
Forse avverría che voti al Ciel porgessi,
Di premorirti ardentemente vago.

Ma quando (ove tu a me sopravvivessi)
Quella tua vita entro al futuro indágo,
Tremendi allor mi fa di Cloto i messi
La tua dolente scompagnata immago.

Vogl’io perciò ver l’alte sfere il volo
Vederti sciorre, ed io quaggiù senz’alma
Restar piangendo, orribilmente solo?

Morte di un sol di noi non avrà palma;
D’entrambi a un tempo a lei daralla il duolo:
Sola un’anima siam, sola una salma.

CCLIV (1795).

Pieno il non empio core e l’intelletto,
Di timor no, ma del desío sublime
Di quel Futur che in vita c’è interdetto,
Parmi al punto esser già che i molti opprime.

Da tergo (io spero) con sereno aspetto
Ratto adocchiate mie vestigie prime
Mi volgerò bramosamente eretto
Per iscoprir di Eternità le cime.

Qual ch’ella sia, tremenda esser non puote
Ad uom, cui d’altri il danno unqua non piacque,
D’opre concorde a sue vergate note.

Che se par reo quaggiù chi ’l ver non tacque,
Sol reo sarà nelle stellanti ruote
Chi fulminava i vizj, e a lor soggiacque.