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rime varie 169


CCLXV (1796).

ALLA SIG.a TERESA MOCENNI

in morte del cavaliere Mario Bianchi.

Sollievo al duol del dianzi estinto amico,
Donna, non v’ha. So, che il dolor verace
S’innaspra più, quanto più fassi antico,
Non sazio mai del lagrimar tenace.

Dunque in gelidi detti or non m’intríco,
Ragion portando ove ragion si sface:
Donna, teco piangendo, assai più dico.
Il pianto, è un dolce favellar che tace.

Troppo sarei, se a te di lui parlassi,
Nelle tue piaghe, nol volendo, acerbo;
Che in laudarlo convien ch’io ’l cor ti passi.

Ma non è tronco a tutte spemi il nerbo;
Ch’ei negli Elisj aspettaci, ove stassi
Col mio Gori, ch’Eterno in cor mi serbo.

CCLXVI (1797).

Asti, antiqua Città, che a me già desti
La culla, e non darai (pare) la tomba;
Poich’è destin, che da te lunge io resti,
Abbiti almen la dottrinal mia fromba.

Quanti ebb’io libri all’insegnarmi presti,
Fatto poi Spirto a guisa di colomba
Tanti ten reco, onde per lor si innesti
Ne’ tuoi figli il saper che l’uom dispiomba.

Nè in dono già, ma in filïal tributo,
Spero, accetto terrai quest’util pegno
D’uom, che tuo cittadin s’è ognor tenuto.

Quindi, se in modo vuoi d’ambo noi degno
Contraccambiarne un dì ’l mio cener muto,
Libri aggiungi ai miei libri; esca, all’ingegno.