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CCLXVII (1797).

ALL’AB. TOMMASO DI CALUSO

su la morte della Principessa di Carignano.

Dunque fia ver, Tommaso mio, soggiacque
A morte acerba irta d’atroci affanni
Quella, il cui Spirto alteramente nacque
Per scorrer l’etra co’ suoi proprii vanni?

Or, poichè all’empie Parche invide piacque
Negarle il tempo, almen per te s’inganni
E la modestia sua che di sè tacque,
E la possente tenebría degli anni.

Quando alle molte lagrime concesso
Avrai tu sfogo, i pregj allor di lei
Tutti cantando, eterna in un te stesso.

Tu, sovra ogni altro fido suo, tu il dei;
Tu, che l’alto valor visto hai da presso:
Farann’eco al tuo canto i pianti miei.

CCLXVIII (1797).

Chiuso in se stesso, e non mai solo, il Saggio
Tacita gioja inesplicabil gode
Nel rïandare il suo terren vïaggio,
Pur che affatto ei non sia scevro di lode.

Guida e conforto gli balena un raggio,
Per cui di Morte i Messi intrepid’ode;
Qual de’ avvenir di liberato ostaggio,
Che al dolce suol natío con plauso approde.

Qual ch’egli accolga opinïone in mente
Su la caligin degli eterni giorni,
Lieto, al tornar dond’ei movea consente.

Che, dopo gli anni di bell’opre adorni,
Presumer de’, che figlio del Presente
L’Avvenir vie più fausto a lui raggiorni.