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16 vittorio alfieri


XXVII (1778).

Tu sei, tu sei pur dessa: amate forme,
Deh, come pinte al vivo! Ecco il vermiglio
Labro, il negr’occhio, il sen che vince il giglio,
D’ogni alto mio pensier le amate norme.

Meco la viva immago e veglia, e dorme;
Or la bacio, or la chiudo, or la ripiglio;
Or sul cor me l’adatto, ora sul ciglio,
Qual uom che di ragion smarrite ha l’orme.

Poi le favello; e in suo tenor mi pare
Ch’ella m’intenda, e mi sorrida, e dica:
Di figger baci in me non ti saziare;

Mercé n’avrai dalla tua dolce amica;
Ch’ella quant’io n’ho tolti a te può dare,
Se avvien che a lei piangendo tu il ridica.

XXVIII (1778).

Ah! tu non odi il sospirar profondo,
Il parlar rotto, i flebili lamenti,
Onde avviemmi che in vano al core io tenti
Scemare in parte di sue doglie il pondo!

Me tu non vedi, allor ch’io ’l petto inondo
Di duo rivi perenni al suol cadenti.
Oh, se mai mi vedessi!... E con quai stenti
Questo fero mio stato a ogni uom nascondo!

Ciò tu non sai; che il Sole almo dal cielo
Non sa che iniqua nebbia i fiori adugge,
Cui vede alteri ognora in loro stelo.

Così il martír, che me consuma e strugge,
Nol sai, se in meste rime io nol rivelo;
Che al tuo apparire ogni mio duol sen fugge.