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l’etruria vendicata. — canto iv 229


Ne gode Arrigo che Lorenzo abborre;
E suggerisce come a chiuder s’abbia
Del Sant’officio entro la negra torre,
Dove in segreto con devota rabbia
Lo inquisitore il può di vita tôrre.
Così mondata d’ogni erronea scabbia
Pura serbar sua corte il duca spera,
Se avvien che questo eretic’empio or pèra.

D’alto cor d’alto ingegno avea Natura
Fatto Lorenzo e d’una stampa rara:
Gran meditare aggiunto a gran lettura
Reso gli ha poi sana la mente e chiara.
Invidia quindi con sua bocca impura
Non fu contr’esso di calunnie avara:
E d’eretico egli ebbe ingiusta fama,
Perchè avea d’imparar la nobil brama.

Ma, mentre in corte il suo morir si ferma,
Tornato egli ha dentro a sue case il piede:
Dove la coppia sconsolata ed erma
Della madre e sorella appena il vede,
Che l’una e l’altra in voce egra e mal ferma,
Se sia compiuta lor vendetta, il chiede.
Narra Lorenzo brevemente ad esse,
Quanto l’ombra del Frate a lui dicesse.

La visïon maravigliosa ottiene
Facil credenza in cor d’afflitte donne:
Quindi dolce speranza omai le tiene
Che giustizia del ciel più non assonne.
Oh! se in lor mani il prence a por si viene,
Con qual furor fia che di lui s’indonne
Lorenzo, cui tre caldi sproni a un punto,
Onor vendetta e libertade, han punto.

Fremendo stanno ivi aspettando intanto
Ciò che per troppa brama or credon vero
Or non par loro da sperar mai tanto.
E investigando vanno ogni pensiero,
Per cui simile al vero appaia alquanto
Il venir quivi del tiranno altero.
Dice al fin Bianca: Or, s’io non erro, ho scorto
Come a ciò potria indursi il malaccorto.