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EPOCA TERZA. CAP. I. 109


suto con Inglesi; sentendo per tutto magnificare [1766] la loro potenza e ricchezza; vedendone la grande influenza politica: e per l’altra parte, vedendo l’Italia tutta esser morta; gl’italiani, divisi, deboli, avviliti e servi; io grandemente mi vergognava d’essere, e di parere Italiano, e nulla delle cose loro non voleva nè praticar, nè sapere.

Si parti di Livorno per Siena; e in quest’ultima città, benché il locale non me ne piacesse gran fatto, pure, tanta è la forza del bello e del vero, ch’io mi sentii quasiché un vivo raggio che mi rischiarava ad un tratto la mente,e una dolcissima lusinga agli orecchi e al cuore, nell’udire le più infime persone così soavemente e con tanta eleganza proprietà e brevità favellare. Con tutto ciò non vi stetti che un giorno; «il tempo della mia conversione letteraria e politica era ancora lontano assai: mi bisognava uscire lungamente d’Italia per conoscere ed apprezzar gl’italiani. Partii dunque per Roma, con una palpitazione di cuore quasiché continua, pochissimo dormendo la notte, e tutto il di ruminando in me stesso e il S. Pietro, e il Coliseo, ed il Panteon; cose che io aveva tanto udite esaltare; ed anche farneticava non poco su alcune località della storia Romana, la quale