Dirotto rimbombò quindi uno strido 384Del popol tutto a Dio chiedendo pace,
E altamente mugghiárne i colli e il lido.
Il pian divenne ai dubbj piè fallace 387Nel raddoppiar le scosse, e co’ sonanti
Bronzi non tocchi diér segno verace
Di ruina fatal le vacillanti 390Testuggini de’ tempj, e le più ferme
Torri nella serena aria ondeggianti.
Io ratto corsi ove credei vederme 393Salvo dal suol, che incerto or s’erge, or cala,
All’ima soglia, e alle mie membra inferme
Pel terror diè il terror più fervid’ala, 396E della porta fra le arcate bande
Fuggii saltando la tremante scala.
M’assordò allor mirabilmente grande 399Precipitoso scroscio, e d’ogn’ intorno
Scoppiò qual tuon, che mille tuoni spande.
Immenso polverío coperse il giorno, 402E della luce desíata invece
Mestissime apparíro ombre dattorno;
E in men che scorre una sei volte in diece 405Divisa parte di volubil ora
Squallido la Città cumol si fece
Di rotte pietre addentro miste e fuora 408Fra spezzate finestre, archi, e colonne
Mozze, altre stese, altre pendenti ancora.
L’eccidio fier, di cui non mai potronne 411Vivi ritrarre i danni, e lo smarrito
Sole, e l’alterno urlar d’Uomini e Donne,
E il volto della Guida impallidito, 414Ch’io non so come aggiunta erasi meco,
Mi rimembrár l’estremo dì compito