Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu/160

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Delle terrene cose; e per quel cieco
     417Aere temei su la fulminea nube
     L’eterno rimirar Giudice bieco,
E le Angeliche udir ultime tube;
     420Ma la Guida, che pria giacque pensosa,
     Qual coniglio, che in macchia ascoso cube.
Ripigliando vigor, disse: Già posa
     423Stabile il piano. I tetti mal sicuri
     Ha questa sede, e l'altra pur dubbiosa,
Che a fronte stassi, incerti serba i muri.
     426S’apre al fuggir la via. Vincer fa d’uopo
     Col senno e coll’ardir colpi sì duri:
Seguimi. Ei mosse; ed io guatandol, dopo
     429Un profondo sospir, ne seguii l'orme
     Ignaro della strada e dello scopo.
Stranamente il sentier s’ergea difforme,
     432Asprissimo e scosceso in rozzi mucchi
     Di pietre, e in massa inegualmente enorme
Di travi, e intorti ferri, e marmi, e stucchi,
     435E seggi, e letti, e deschi ancora tinti
     Di sparsi cibi e di pampinei succhi;
Pur da necessitate i piè sospinti
     438Battean quel calle, e s’arrestavan lassi
     Dal cammin spesso malagevol vinti.
Oh quante volte in alternar i passi
     441Caddi, e abbracciai caldo cadaver pesto
     Scoperto allor da sgretolati sassi!
E quante arrampicandomi al funesto
     444Monte di tetti o affatto svelti, o scemi
     Dal tetro fondo udii lo strider mesto
De’ semivivi, che ne’ casi estremi
     447Voce mettean fra que’ spiragli acuta,
     Sclamando: Oimè! perché ne calchi, e premi?