Pagina:Alfonso Varano - Opere scelte 1705-1788.djvu/200

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Mentr’ei fin della veste al sacro lembo
     Quell’amante accendea tmba felice
     408Coi rai, che l’Ostia gli piovea sul grembo,
A parlar cominciò: Ben a me lice
     D’Amor spogliando la natìa dolcezza
     411Armar la destra de’ miei torti ultrice;
Chè un dono immenso contro chi lo sprezza
     Ingrato, e il nega, pel crudel rifiuto
     414Sveglia maggior nel donatore asprezza.
Taccio quanto il mio foco abbia potuto
     Sul Nume stesso, e quel ch’egli sofferse
     417Fra scherni e piaghe ubbidiente e muto,
Quando il Padre a me il Figlio unico offerse,
     E versando su lui l’ire immortali
     420In mar di sangue e di dolor l’immerse.
Ma quai potea vanti sperar eguali
     L’Uom vile a quest’immenso, onde i perfetti
     423Spirti in tant’opra a lui fur disuguali?
Che lingua fral col suon de’ sacri detti
     La voce imiti onnipotente appieno
     426Sì, che a tornar nel primo nulla affretti
Gli azzimi all’ara scelti, e in un baleno
     Tutta lasciando lor la forma esterna,
     429(Qui Amor di pie bagnò lagrime il seno,
E poi seguì) ridoni alla superna
     Mente in lor vece il Figlio suo, divino
     432Effondimento di sostanza eterna.
Qual gente al Ciel diletta ebbe vicino
     Il suo Nume così, che a sé lo stringa
     435Compagno e scorta nel mortal cammino?
Che il fonte, onde si bean gli Angeli, attinga,
     E in sè l’accolga, e qual mirabil esca
     438Colle viscere sue l’annodi e cinga?