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ANNOTAZIONI

ALLA PRIMA VISIONE.




Pag. 5. Dall’erta caddi, e un caprifico verde
Afferrai sporto fuor del curvo sasso.


Questa idea è tolta da Omero nel lib. XII dell’Odissea. Ma quanto è più nobile e passionata nel nostro Autore, che non in quel poeta? Omero fa raccontare ad Ulisse il naufragio da se fatto al vortice di Cariddi. Dice, che si strinse fortemente ad un gran fico, o sia fico selvaggio, che noi chiamiamo caprifico, a cui stavasi attaccato, dic’egli, come un vispistrello (per verità questo paragone in un tal poema è un poco basso). La traduzione in ottava rima, che dell’Odissea ha fatto il valoroso signor abate Bozoli, dà a questo passo un poco più di spirito, che non ha certamente nel testo originale, come ben si pare dalla versione letterale, che ne ha fatto in latino Andrea Divo Justinopolitano. Se poi quell’immagine del giudice, che s’alza dal tribunale per andar a cena, sia una comparazione, come vuole il Perault, o una data di tempo, come pretende l’abate Bozoli, non è così facile il deciderlo. Comunque sia, è cosa assai ricercata, com’è tutto quel racconto. Non così il nostro Autore, il quale nelle seguenti terzine con assai vivi colori poetici esprime i diversi effetti, che produce nell’animo un gran timore, naturalmente cagionato da un evidente pericolo della vita. Ma dai nostri erano assai diversi i tempi ed i costumi, di cui parla Omero nell’Odissea, come si può scorgere in tutto quel poema: qui si vede, che Omero fa esprimere il racconto dalla bocca stessa