Pagina:Algarotti - Il Newtonianismo per le dame, 1737.djvu/8

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(VIII)


Lo stile, che io ô procurato di seguitare, è quale io ho creduto convenire al Dialogo, netto, chiaro, preciso, interrotto, e sparso d’immagini e di sali. O’ schivato più che ô potuto quegl’intralciati e lunghi periodi col verbo in fine nemici de’ polmoni e del buon senso, che sono, assai meno, che non si pensa, del genio della nostra Lingua, e che non devono essere guari del genio di quelli, che vogliono essere intesi. Gli ô lasciati affatto a coloro, che ânno abbandonato il Saggiatore per la Fiammetta, insieme colle parole antiche e rancide, che fanno una gran parte del lor sapere e delle loro delizie. Il Conte di Castiglione dugento anni fa osò scrivere per esser’ inteso da’ suoi contemporanei, e abbandonando nel suo Cortegiano i Gotici rancidumi seguì nello scrivere l’uso del parlare delle persone pulite e colte del suo tempo, l’uso quel supremo Giudice in tutte le altre lingue, fuorché per isventura nella nostra, e ci arricchì quanto allo stile del più bel libro, di cui l’Italia possa vantarsi. Per qual ragione dovrei io credere, che la Predica, che un Fraticello balbettò quattrocento anni fa in S. Maria Novella servirmi dovesse di modello in un’Opera di Filosofia e di gentilezza. E perchè amerei io più tosto che favellar colle